Parola dimenticata, ma molto ingiustamente perché sostituita in modo sostanzialmente inappropriato.

Da molti anni, nel nostro dialetto, si usa in sua vece "scampagnate", importando un termine impiegato comunemente nella lingua italiana. Ma non sono esattamente sinonimi e la diversa origine sta a dimostrarlo.

Se parliamo di "scampagnate" la mente va subito al pic-nic, una merenda consumata all'aperto che nel periodo pasquale diventa qualcosa di molto più impegnativo.

L'origine del vocabolo è evidentemente collegata alla campagna e il suo significato si fermerebbe a quello più diretto di "gita in campagna". Chiaramente non si può pensare di trascorrere una giornata o un pomeriggio all'aperto, in mezzo al verde, senza provvedere a fronteggiare l'assalto di un vivo appetito. È accaduto allora che l'associazione di gita e merenda è diventata inscindibile fino a rendere impensabile una scampagnata senza pasto, tant'è che l'organizzazione di una scampagnata parte dalla individuazione dei cibi da consumare. Il luogo lo si definisce in seguito e, se il tempo non è clemente, si ripiega per una sistemazione ben riparata. A molti sarà capitato di vedere gruppi di disperati che a causa della terra impraticabile per la pioggia caduta si sono tranquillamente sistemati in una piazzola stradale asfaltata: la scampagnata è comunque salva!

Aggiungiamo pure che nelle grandi città l'uso di questo termine non dà alcun problema perché la scampagnata viene fatta come si usa dire, "fuori porta" ovvero effettivamente in campagna. Dalle nostre parti, invece, si usa andare principalmente in montagna, in aree non coltivate che non sarebbero propriamente campagna: qualcuno potrebbe anche azzardare il termine "smontagnata", ma meglio lasciar stare.

E veniamo ora alla sciuscillette che, diciamolo subito, non ha nessuna relazione con le "sciuscelle", le carrube, leccornie dei bambini del tempo che fu ora svilite ad alimento per equini.

Il termine "sciuscella" è presente in vari dialetti dell'Italia meridionale sin dall'antichità e sta ad indicare un brodetto, una minestra molto liquida preparata per un pasto comunitario molto povero: una specie di rancio. Come suggerisce il Finamore, il più importante studioso di dialetto abruzzese, la sua origine può essere collegata al greco "syssìtion" che definiva proprio un pasto per comunità. Non stupisca questa origine antica e diffusa: siamo nelle zone che costituivano prima la Magna Grecia e secoli dopo una provincia bizantina!

Il Finamore ci dice anche del significato assunto in tempi più recenti, quando "sciuscelle" va ad indicare una festa di popolani fatta in campagna a base di cibo e, soprattutto, di abbondanti libagioni.

Siamo così arrivati alla sciuscillette che nel suo diminutivo vezzeggiativo definisce una tipica merenda consumata all'aperto in compagnia.

Agli scettici che pensano ad una forzatura da protervi ricercatori linguistici possiamo suggerire la lettura del "Glossario" del nostro benemerito concittadino Emidio Vitacolonna che, da parte sua, ci ricorda un'altra consuetudine paesana: la scampagnata pasquale dei guardiesi, la sciuscillette per antonomasia, si faceva il martedì di Pasqua e come meta aveva Bocca di Valle.

I concittadini più attempati ricordano che i guardiesi disdegnavano l’uscita del Lunedì di Pasqua che lasciavano a li frastire. Essi, invece, si riservavano il giorno dopo, quando l’orda proveniente dai paesi vicini era ormai rientrata. Guardiagrele si spopolava, negozi e botteghe restavano chiusi un giorno in più e i guardiesi potevano riprendere possesso di quel gioiellino di pietra senza timori di concorrenza e con la speranza che non avesse subito molti danni il giorno prima.

La sciuscillette del martedì di Pasqua richiedeva un’apposita preparazione, per l’organizzazione ma soprattutto per la predisposizione delle cibarie. Il lunedì si restava in paese, si riciclavano gli avanzi della domenica e si preparavano le vivande per la sciuscillette. Le possibilità economiche, fino agli anni ’60, erano notoriamente limitate e la regina delle vivande diventava la frittata. La spesa era poca ma il risultato strabiliante: sapete tutti quanto strabiliante è una frittata fredda e rassodata, magari tra due fette di pane casereccio. Per l’occasione, alla faccia della miseria, si tiravano fuori li savicicciutte, reduci da una prima stagionatura dopo che il maiale si era immolato nei mesi freddi precedenti. Per le bevande si pensava soprattutto al vino perché il resto si poteva acquistarlo sul posto senza appesantirsi per il trasporto. E a Bocca di Valle, ovviamente, si trovava tutta la squisita acqua che si voleva, dalla fontana o dal torrente.

Con le borse e, per i più equipaggiati, con gli zaini, ci si avviava a piedi di buon’ora per accaparrarsi i posti migliori, quelli sul fianco della montagna dove si trova la fontana. L’ombra era poca perché all’epoca il terreno era ancora brullo, ma in realtà si cercava proprio il primo sole di primavera. Quell’oretta di cammino, sotto il peso delle vivande che emanavano profumi sublimi, faceva sì che, pur arrivando prima delle 10, uno spuntino diventava un’esigenza immediata. La sciuscillette proseguiva poi secondo canoni prevedibili fino a metà pomeriggio quando, un po’ rattristati, si riprendeva la strada di casa.

Nel dopoguerra il fenomeno diventò di massa perché per quel giorno erano predisposti servizi navetta ‘nchi li pustale di la “Majelle”. Li sciuscillette richiedevano quindi meno tempo ma consentivano il trasporto di maggiori quantitativi di vivande. Cominciarono così a comparire i primi timballi…

Concludendo, possiamo ben dire che per il guardiese la scampagnate non ha significati ecologici come oggigiorno potremmo pensare. La gita sui prati era un rito popolare con finalità pagane legate al ritorno della primavera e il ritorno alla vita della natura veniva fasteggiato con abbondanti libagioni e prelibatezze culinarie che, in quell’ambiente, diventano sublimi.

Non potete, quindi, non concordare che, considerando le abitudini guardiesi, bisogna parlare di sciuscillette!

Ultimo aggiornamento ( 14 Novembre 2015)