Non so quanti si sono accorti della gran confusione che permane nel dialetto guardiese quando si vuole parlare del grano e dei suoi derivati dalla macinazione.

A livello di prodotto finale i guardiesi se la sono sempre cavata chiamando farine la farina generica, in particolare quella di grano tenero, e farine di Cappelle la farina di grano duro anche se non della varietà “Senatore Cappelli”.

Se passiamo invece al principale sottoprodotto della macinatura, la crusca, troviamo che il termine più diffuso in tutto l’Abruzzo per indicarla è canije (f.).

Qui comincia la confusione perché, a Guardiagrele, il termine più diffuso per indicare la crusca è trite (m.) che non è assolutamente il “trito” ossia il prodotto delle prime fasi della macinatura, ricco di crusca ma sostanzialmente costituito da farina.

Ovviamente la confusione non è finita perché il “tritello” (o cruschello) non è certamente lu tritelle! Il tritello è solo crusca, la più minuta che si ricava dopo aver eliminato quella più grossolana nelle prime setacciature. Invece lu tritelle è la farina ad alto tenore di crusca che si ottiene dopo le prime fasi di macinatura, in pratica la farina integrale. Questo prodotto era molto apprezzato già in tempi remoti, non per motivi salutistici, ma per motivi schiettamente gastronomici. Infatti, permetteva di ottenere nella preparazione casalinga una pasta migliore rispetto alla farine di Cappelle (“quattre sagne di tritelle” per Modesto Della Porta erano una delle soddisfazioni della vita). Molti sanno che le sagne tradizionali, preparate con solo acqua, sono sgradevolmente “bavose” se si utilizza la farina di grano tenero. Meglio usare lu tritelle (con la crusca) o la farine di Cappelle.

Completiamo il quadro delle confusioni dicendo che lu tritelle viene chiamato popolarmente al femminile (la tritelle)!

Lasciamo questo quadro sconfortante per chi ci tiene alla buona parlata dialettale e torniamo alla nostra crusca per condividere con i lettori l’ennesimo gioiellino nascosto nel nostro dialetto.

Il termine guardiese più tradizionale per indicare la crusca, quella più grossolana destinata all’alimentazione di animali, non è trite e neanche canije. Il guardiese più “verace” ha sempre usato il termine vrenne (f.), in analogia al napoletano “vrenna”. Come capita spesso nei dialetti, per zone o per famiglie, si usava anche la forma vrènnele.

Se chi ci legge si ferma un attimo a riflettere sulla corrispondenza crusca-vrenne, probabilmente vedrà accendersi una lampadina. Possiamo confermare che vrenne deriva dalla stessa radice di “bran”! Sì, anche se non conoscete l’inglese, avrete certamente nelle orecchie il nome della linea di prodotti a base di crusca “All bran”: “bran”, in inglese, è la nostra vrenne!

Per i più curiosi diciamo che nel latino volgare esisteva il termine “brennus” per indicare la crusca. Da questo vocabolo è derivato, da noi, vrenne e nel francese antico “bren” che è poi passato oltremanica come “bran” e lì è rimasto con piena vitalità.

Detto questo, concludiamo cercando di fare un po’ di ordine:

  • vrenne è il termine tradizionale per indicare la crusca più grossolana ma si usano anche gli equivalenti vrènnele e canije;
  • trite è il tritello o cruschello, la crusca a grana più minuta che resta dopo aver eliminata la vrenne;
  • tritelle è la farina integrale contenente trite.

Ultimo aggiornamento ( 15 Maggio 2017)