‘Bagnomaria’ è una parola che agli esperti di lingua italiana e di etimologia provoca moti di irritazione derivanti dal fatto che l’etimo generalmente attribuito al vocabolo è chiaro ma poco convincente ai loro stessi occhi.

Alla Cantine abbiamo fortunosamente trovato un tassello che, a nostro parere, permette di delineare un percorso etimologico semplice e, sorprendentemente, anche allineato con quanto già definito dagli studiosi in materia.

Ripercorriamo velocemente i tratti storico-linguistici di questa pratica in origine da iniziati ma diventata oggi molto popolare.

Per stabilire innanzi tutto di cosa effettivamente stiamo parlando, consultiamo un’opera che ci tornerà utile anche per le sue dichiarate finalità: il Dizionario Etimologico di Cortelazzo-Zolli. In esso si definisce il bagnomaria un 'sistema indiretto di riscaldamento di un recipiente mediante un liquido, in genere acqua, che viene direttamente scaldato' oppure un 'apparecchio contenente il liquido scaldato direttamente'.

Dovendo poi fornirne l’etimologia, gli autori, quasi scusandosi, aggiungono: «non resta che riprendere la ripetuta spiegazione, secondo cui deriverebbe dal nome della leggendaria alchimista Maria l'Ebrea, sorella di Aronne» (e di Mosè).

A completamento del quadro specifichiamo che la pratica era nota già nell’antica Grecia ma si diffuse come tecnica alchemica sulla base di un testo che la attribuiva ad una certa Maria l’Ebrea del III sec. d.C.. A questa alchimista, come scrive Michela Pereira in «Alchimia e metallurgia – Le origini», si deve effettivamente il nome di «bagnomaria», nome che, però, nacque molti secoli dopo negli ambienti in cui si praticava l’alchimia. La prima attestazione, secondo Coltelazzo-Zolli, si riscontra solo nel 1471, in inglese, ‘balneo of Mary’ ma la forma più diffusa fu quella latina che diede origine a «bagnomaria».

A questo punto, i più accorti dovrebbero esclamare: se la pratica era nota sin dall’antica Grecia, avrà pur avuto un nome fino a tutto il Medio Evo! Ci sembra fuori discussione ma gli alchimisti che facevano uso di quella tecnica speciale ritennero opportuno rivestirla di un alone magico che la differenziasse da quella nota anche alla gente comune. Fu così che iniziò la diffusione del termine «bagnomaria».

Detto questo, resterebbe la grossa incognita riguardo al termine usato dal popolo, termine che non appare negli scritti di quelle epoche. Alla Cantine, però, pensiamo di averne trovato una traccia proprio nel nostro dialetto classico abruzzese. Questa traccia si collega in modo veramente paradossale a quanto scrive Ottorino Pianigiani, illustre linguista vissuto a cavallo del ‘900. Infatti, nel suo famosissimo Dizionario Etimologico, a proposito di «bagnomaria», esordisce informandoci che un tempo si pensava a un’origine dal latino «bàlneum maris» (bagno di mare) ma questo, a suo dire, è errato perché l’origine è quella medievale attribuita agli alchimisti, «bàlneum mariae» (il bagno di Maria).

Con tutto il rispetto per il grande linguista, qui alla “Cantine” non siamo della stessa idea: l’origine è proprio quella marina, per una serie di motivi che ci rafforzano nel nostro convincimento.

Nei testi che trattano di antico dialetto abruzzese si parla di bagnomaria esclusivamente con il termine “bagnemarine”. Qualcosa di simile a “bagnemarije” non trova riscontro alcuno. Tutto ciò fa pensare ad una tradizione popolare proveniente da una forma latina, «bàlneum marinum», mai attestata per i motivi citati.

Il popolo, quindi, utilizzava comunemente la definizione di «bàlneum marinum» che poi, andando verso l’italiano, divenne «bagnomarino». Ovviamente, il popolo non ne parlava in termini alchemici ma più correntemente in quelli gastronomici. Il ricorso a questa pratica di riscaldamento delicato era frequente da parte di tutti gli esperti di cucina, certamente più numerosi degli alchimisti ma, purtroppo, non avvezzi alla scrittura. Si ricordi che siamo dovuti arrivare ai tempi di Pellegrino Artusi per avere un’opera in stampa che trattasse di cucina e gastronomia. Prima, l’argomento non era ritenuto degno di una qualsiasi pubblicazione!

La situazione che si era creata comportava che il ceto colto, quello che scriveva e leggeva, utilizzava esclusivamente il termine alchemico. Solo il popolo continuava, imperterrito e a dispetto di quelli, a parlare di «bagnomarino» e lo ha fatto fino a quando il continuo martellamento lo ha convinto che si trattava dell’ennesima storpiatura dialettale!

La resistenza della forma popolare nel corso dei secoli è stata anche dovuta ad un aspetto particolarmente interessante: il popolo intuiva che quella forma era la più corretta perché ne capiva il significato a causa della sua chiara origine. Infatti, fino all’ultimo dopoguerra, periodo in cui le vacanze marine sono diventate fenomeno di massa, al mare ci si andava per il sole, per lo iodio dell’aria e per i benefici effetti sugli arti inferiori. Ancor prima, a bagnarsi in mare ci andavano i cittadini dei centri rivieraschi solamente per lavarsi. Di tutte queste persone quasi nessuno era in grado di nuotare e quindi, per motivi di sicurezza, ci si bagnava solo fin dove si toccava, restando in piedi e immergendosi fino alla cintola, al massimo fino a metà torace. Questa immagine non è proprio quella del recipiente sospeso in acqua «a bagnomaria»?

E no, scusate, «a bagnomarino»!

Ultimo aggiornamento ( 07 Luglio 2019)