Alla fine de “Il nome della rosa”, Umberto Eco inserì uno spunto formidabile sulla relazione che esisterebbe tra le cose e il loro nome. Su questo argomento si potrebbe discutere estesamente prendendo ad esempio il verbo «traboccare» con tutte le sue derivazioni.

Può sorprendere che in tutto questo non c’entri nulla la bocca ma tant’è. Il tutto deriva da una famiglia di verbi medievali d’Oltralpe, quali «trabucar» o «trebucher», che avevano il significato di cadere giù, precipitare.

Molto probabilmente la prima infiltrazione nel tardo latino e nel nascente italiano avvenne attraverso una macchina da guerra usata negli assedi, il «trabocco» o «trabucco», sorta di catapulta che lanciava oggetti di vario tipo grazie ad un meccanismo a leva asimmetrica con una grossa massa cadente assicurata all’estremità del braccio corto. Il «trabocco» di questa massa attivava il lancio all’altra estremità.

Per similitudine vennero chiamati «trabocchi» o «trabocchetti» molti strumenti che si basavano su di una leva asimmetrica e tra questi alcuni tipi di bilancia.

Tra parentesi, anche il termine «trabocchetto» arrivò nell’italiano autonomamente per significare una trappola in cui si precipita.

Ma torniamo ai meccanismi a «trabocco» e osserviamo con attenzione lo schema base di funzionamento.

Si vede in figura la presenza di un contrappeso, solitamente un blocco di pietra o un grosso bidone riempito di sassi, il quale, in posizione di riposo, poggia sulla base della macchina.

Con lo stesso schema costruttivo si può utilizzare l’apparato come macchina da guerra sistemando il proiettile all’estremità del braccio lungo che viene abbassato mediante argano per avere il caricamento. Il rilascio istantaneo del braccio provoca il lancio del proiettile.

Allo stesso modo si può usare la macchina come apparecchio di sollevamento, abbassando il braccio lungo per appendervi il materiale da sollevare e poi rilasciando lentamente l’argano fino a quando il braccio non ha raggiunto l’altezza desiderata.

Ecco, molto probabilmente il misterioso “trabbucchette di lu macillare”, menzionato da Modesto Della Porta in “39 (Lu ‘mpise)”, non è altro che un apparecchio di sollevamento di questo genere, probabilmente con la base posta su ruote e forse anche scorrevole su di un binario. Difficile pensare ad una fossa, tanto più che il poeta parla di un oggetto che normalmente “penne”, ossia è inclinato.

Tenghe na cambre! Bbusce e ffenestrelle

che, quande piove, ci aja ‘prì lu ‘mbrelle:

vill’a vvedè ‘se tte vu fa capace.

nu lette penn’ arrète, che mme pare

lu trabbucchètte de lu macellare

 

Per completare l’argomento, avrete capito che, in realtà, quando si parla dei «trabocchi» posti sulla nostra costa, non stiamo riferendoci alle complesse strutture su pali ma effettivamente agli apparecchi di sollevamento delle reti (potremmo scomodare il concetto di «sineddoche»). Si tratterebbe, quindi, di palafitte con «trabocchi». Tutto questo sarebbe anche conferma della recente ipotesi, fatta da studiosi, secondo la quale le attuali strutture da pesca derivano da antichi apparecchi di sollevamento per il carico e scarico merci.

Ultimo aggiornamento ( 01 Settembre 2022)