Chìchele e la derivata virzachìchele sono due parole ormai obsolete del nostro dialetto. Non se ne sente più parlare anche se a volte riaffiorano improvvise alla memoria di qualcuno con particolari non sempre attendibili: non ci sono enciclopedie o wikipedie capaci di fornire risposte affidabili. Alla Cantine abbiamo voluto approfondire l’argomento svolgendo indagini in proprio che, alla fine, abbiamo organizzato per dare una spiegazione plausibile a questi due strani vocaboli. Iniziamo, ovviamente, da “chìchele”, vocabolo presente anche nella parola composta “virzachìchele”.

Allora cosa si intende (o si intendeva) per chìchele?

Dobbiamo iniziare da un punto fermo: dall’antica Roma ragazzi e signori anche cresciutelli passavano molto tempo con un gioco chiamato secoli dopo «del nocino» o «del castelletto». Continuò ad avere popolarità, specie tra i ragazzi, fino alla metà del secolo scorso dopodiché ne è rimasta traccia solo nel lessico di varie lingue e dialetti. Nelle Operette Morali, Giacomo Leopardi con «fare alle castelline» si riferisce proprio al «gioco del nocino».

Il gioco consisteva nell’abbattere una composizione di quattro noci, tre a triangolo di base e una a sormontare, colpendola con un’altra noce lanciata da una certa distanza. La piccola piramide di noci era detta in italiano comune «cappa», in alcune zone d’Italia «castelletto» o «castellina», a Guardiagrele era la “chìchele”.

Il nostro concittadino Emidio Vitacolonna, nel suo «Glossario» menziona il termine “chìchele” (al maschile) ma specifica solo che “a chìchele” si giocava con le noci. In epoche precedenti il vocabolo era molto più comunemente utilizzato tanto che aveva dato origine al verbo “acchichila’”, raggruppare in modo compatto. Ricordate il nostro Modesto che descriveva una frittata in cui “nu quarte stave piene acchichilate” di fette di salsiccia?

Orbene, limitandoci all’ultimo periodo in cui il gioco continuava ad essere popolare, occorre aggiungere che si cercava di divertirsi senza usare noci perché esse spesso ne costituivano il premio e quindi, in quei tempi grami, non ve n’era una grande disponibilità. Ci si poteva comunque divertire anche utilizzando noccioli di albicocche e poi, nel tempo, biglie di terracotta e, infine, lussuose biglie di vetro.

In quel periodo, dalle nostre parti, avvenne una mutazione di lessico e con “chìchele” si passò ad indicare (al maschile) gli elementi che costituivano la «cappa», specialmente i noccioli di albicocca, le ghiande o i cecidi, e per successiva estensione, tutte le minuzie di scarso valore. Si arrivava a mandare qualcuno a “juca’ a chìchele” per invitarlo a occuparsi d’altro, in particolare a ingannare il tempo con un gioco poco impegnativo sotto tutti gli aspetti.

Cappa di noci

Alla stessa epoca risale poi l’invenzione di quello strumento nato e noto nell’area guardiese con il nome di “virzachìchele”. Il nome contiene un verbo ormai scomparso, “virza’”, che significava «far girare» o «mettere in rotazione» quindi “virzachìchele” non può che essere uno strumento, un giocattolo, in grado di far roteare li chìchele. Il significato di «bambino vivace che non sta mai fermo» è ancora presente nel vocabolario personale di molti guardiesi ma si tratta di un uso figurato che si rifà a nu chìchele azionato da nu virzachìchele. Lo strumento originale, invece, com’era fatto? Non sembra che ve ne sia memoria, ma abbiamo trovato una descrizione che ci ha permesso di capire qualcosa sul suo funzionamento.

Lu virzachìchele era probabilmente costituito da un pezzo di canna, ben svuotato all’interno, nel quale si praticavano due intagli diametrali per una certa lunghezza. Lu chìchele era attraversato da un chiodo e aveva il filo arrotolato intorno come in una trottola tradizionale. Inserendolo nella canna in modo che le estremità del chiodo sporgessero dagli intagli e la canna le stringesse leggermente, tirando il filo lu chìchele si metteva in rotazione e fuoriusciva con un movimento stabilizzato dal percorso all’interno degli intagli. Con un chìchele ben conformato e una certa pratica si riusciva a riprodurre l’effetto di una trottola. I migliori, elaborati per avere rotazioni stabili e prolungate, venivano definiti virtecchje (vertecchio), per similitudine con la fusaiola, la massa rotante che fa da volano nella parte inferiore dei fusi.

Per favorire la rotazione è comunque consigliato canticchiare: «Magari ti chiamerò vertecchino amoroso e du du da da da...».

Ultimo aggiornamento ( 06 Luglio 2019)