/kallèķķë/ - s.m. - #1. – spicchio; tassello; tasto; saggio di prova #2. - grumolo

Pensiamo che i pochi guardiesi che ancora usano o ricordano il termine “callecchje” lo riferiscono solamente al cosiddetto tassello che si pratica, o meglio, si praticava ai cocomeri (li citrune) per saggiarne la qualità. In realtà i significati che rischiano di scomparire sono anche altri, e pure di una certa importanza. Forse è il caso di partire dalle sue origini latine da cui la parola deriva direttamente, certamente senza passare dall’italiano.

Può apparire strano, ma “callecchje” deriverebbe dal latino «cauliculus», letteralmente «cavoletto», sia come piccolo cavolo tenero sia come parte interna prelibata di un cavolo. Da questo secondo significato si sono sviluppati tutti quelli successivi di “callecchje” secondo due direzioni. La prima ha portato ad estendere il riferimento alla parte interna più gustosa di qualsiasi verdura (cocomero incluso), il cosiddetto «grumolo». La seconda si è indirizzata verso il significato di parte ricavata o estratta da qualcosa per eseguire una prova o per altre motivazioni.

Senza dubbio alcuno, però, se si sente parlare di “callecchje”, ci si sta riferendo al tassello che si praticava ai cocomeri al momento della vendita, operazione che avveniva in modo piuttosto particolare.

Ora che i cocomeri si comprano anche al supermercato non c’è modo di interagire molto con il venditore. Lo si può comprare intero («a scatola chiusa») oppure a metà o quarti ma confezionati. La bontà del prodotto si può giudicare al massimo dal colore. Una volta era diverso: i cocomeri non si compravano sulla fiducia e si esigeva l’assaggio di prova.

Il venditore, con mano abile, incideva il frutto ricavandone uno spicchio con la forma approssimativa di un tronco di piramide e lo porgeva all’acquirente scettico. Dopo il morso, la parte rimanente veniva ricollocata al suo posto per fare da tappo. Questo era il modo più sicuro per assicurarsi sulla bontà del cocomero. C’era chi millantava di essere in grado di farlo mediante colpetti dall’esterno (a sicunde di ‘gna ‘rintone quande tùzzele) oppure esercitando una pressione (a sicunde di ‘gna crìchele quande prime): metodi poco affidabili. Meglio assaggiare.

Lo spicchio ricavato dal cocomero viene chiamato in vari modi in italiano e in dialetto creando qualche incertezza tra gli interlocutori. In italiano è generalmente definito “tassello” e quindi qualcuno azzarda una versione dialettale con “tasselle”. Questa corrispondenza è abbastanza discutibile perché quest’ultimo termine andrebbe usato solo per i tasselli che si inseriscono nelle strutture murarie. Confermiamo che il vocabolo dialettale più appropriato è “callecchje” e speriamo che almeno i venditori che li eseguono se ne ricordino.

Lu callecchje si estrae, lu tasselle si inserisce (“Franci’, famme sinti’ si jè fatte ‘ssu citrune. Damme nu callecchje!”).