Quando ce n’è il motivo, alla “Cantine de la Croche” parliamo anche di cose non guardiesi ma che, in qualche modo, si possono ricondurre alla nostra città. Questa volta lo spunto è arrivato avvolto in una carta di pasticceria di Lama dei Peligni: le famose sfogliatelle “di la Lame”!

Quando un caro amico ci ha consegnato la “guantirole” con le sfogliatelle arrivate fresche fresche da Lama qualcuno ha rischiato di svenire dando la colpa ad un picco glicemico indotto dalla sola vista di quelle bontà. Due a testa e sono sparite in un attimo accompagnate da alcuni brindisi con bicchierini di marsala dedicati a donn’Annina Di Guglielmo, inventrice di queste specialità. La nobildonna ripropose il famosissimo dolce napoletano in una preparazione con ingredienti locali che, a nostro parere, sono risultati, una volta tanto, addirittura migliori di quelli originali (chi ha il coraggio di affermare che “la scrucchijate”, “la marmillate ‘nchi l’amarena nustre” e “lu misticotte” sarebbero solo rimedi per necessità?).

Ai tempi della nostra gioventù si passava di frequente per Lama perché la strada di Palena era quasi d’obbligo per recarsi nella zona di Roccaraso e magari proseguire fino a Napoli. Ora ci sono alternative più comode e quindi le possibilità di passare per Lama sono ridottissime. Sì, però le sfogliatelle meritano un viaggio apposito.

Tornando alle nostre faccende, confessiamo di aver ascoltato con molta meraviglia donn’Arnaldo che, masticando un boccone di sfogliatella (!) canticchiava un paio di versi parafrasati da Fabrizio De Andrè: «Dai diamanti non nasce niente, da la Lame nascono i fior». Appena si è accorto che stavamo iniziando a prenderlo in giro per questa inconsueta esibizione, ci ha anticipato dicendo: «Secondo me voi pensate che abbia detto “la Lame” solo per assonanza. Allora avete capito ben poco». Aveva ragione e davanti alla nostra scena muta ma interrogativa ha iniziato a svelare l’arcano.

Ci ha spiegato che il nome del paese corrisponde a un termine tardo-latino che originariamente indicava uno stagno o un acquitrino, per poi passare a definire un terreno fangoso per ristagno d’acqua. Infine si chiamarono «lame» anche le frane o gli smottamenti di terreno imbevuto d’acqua. Si usava anche «lamatura» per indicare la frana conseguente all’infiltrazione d’acqua. Il nome Lama è presente in molte località d’Italia (per questo la nostra Lama ha la specificazione «dei Peligni») mentre il termine «lamatura» risulterebbe presente in alcuni dialetti regionali, compreso l’abruzzese ma non nella zona di Guardiagrele.

Anche se “lame” non fa più parte del vocabolario dialettale guardiese, tuttavia se ne trovano alcune tracce. Ad esempio, ricordate il simpatico e malinconico componimento di Aldo Aimola “L'jùteme cafune”? Ad un certo punto il vecchio contadino, nel suo dialetto rurale, rammenta quando lavorava nei campi “’llamate ‘nghe la jòzze”.

Sì, è restato il verbo “allamàrese” (andare in terreno fangoso) ma anche un sostantivo ormai pochissimo usato: “assullamate” o, più spesso, “’ssullamate”. Ormai è usato poco e con significato piuttosto indefinito. La sua origine dovrebbe ricondurlo a «vittima (sopravvissuta) di una frana» e quindi lo si usa per indicare una persona ridotta in uno stato veramente pietoso che abbisogna di cure e di essere rifocillata.

Insomma, tutto questo si lega a quell’antica «lama» che dal fianco della Maiella scendeva verso l’Aventino.

Ultimo aggiornamento ( 17 Gennaio 2021)