«Quatrera mì’, vi denghe nu cunsije - fece lu sacristane, zi’ Pasquale...», scriveva Modesto, e subito chi non è pratico di dialetto si chiede cosa possa significare quel “quatrera”. Ma anche a molti abruzzesi capita di chiedersi da dove derivi questo termine per indicare i ragazzetti.

La faccenda ha una sua intrigante complessità e coinvolge anche il «Padre Dante»!

 

Se siete guardiesi conoscerete di certo quel proverbio che spiega cosa può accadere alle case in cui vivono “vicchje e quatrere”. Ormai ci sentiamo tutti rassicurati perché i pannoloni si producono per tutte le età e quindi resta valido solo il significato metaforico dell’avvertimento (creare imbarazzo alla famiglia per le difficoltà nel trattenere... le parole).

Già, “quatrere”... Non diteci che non vi è mai venuta la curiosità di sapere da dove viene fuori il termine “quatrare” che dalle nostre parti indica un ragazzetto, un bambino o altra simile personcina (lasciamo stare  “bardasce” che non è guardiese). Allora, se non avete rinunciato alla ricerca da subito, sarete stati costretti a farlo molto presto perché le tracce sono poche e confuse. Stupisce solo che alcuni studiosi autorevoli si siano spinti a spendere la propria autorevolezza per ipotesi molto poco suffragabili.

Nelle vostre scorribande tra i dialetti abruzzesi avrete constatato che in alcune zone si usa la forma “quatrale” e in altre “quatrane” e poi, allargando il territorio d’indagine, vi sarete meravigliati nello scoprire che quest’ultima forma è presente in quasi tutto il Meridione della penisola italiana. Chi ha fatto studi approfonditi di lingua e letteratura italiana avrà rischiato il mancamento imbattendosi in «quatraro» all’interno del “De Vulgari Eloquentia”, opera del padre Dante scritta in latino. Sarà quasi svenuto ma probabilmente avrà fatto finta di niente perché il sommo poeta e scrittore non ci usa molti riguardi.

Infatti, al capitolo XII del Primo Libro dell’opera, Dante riporta la frase «Vòlzera che chiangesse lo quatraro» (Vorrei che piangesse il fanciullo) come esempio di dialetto meridionale. La frase sarebbe la dimostrazione di quanto le popolazioni del luogo «turpiter barbarizant» la loro parlata (la infarciscono di sconci barbarismi), per «sui acerbitate» (per asprezza propria). Secondo Dante, che qualche interesse personale nella faccenda ce l’aveva, per ritrovare sonorità eleganti occorreva sbarcare in Sicilia. Va bene, così è andata e riprendiamo il nostro discorso senza polemiche con il Sommo che, con il suo ben noto caratterino, ci fulminerebbe senza scampo.

Allora, questa prima attestazione di «quatraro» spazza via le ipotesi su origini successive quale, ad esempio, una sua introduzione da parte degli aragonesi («quatrano» dallo spagnolo «cuatro años»).

Oltre a questa, però, non si riscontrano ipotesi di sostanza. Poco verosimile, nonostante l’autorevolezza della fonte (De Mauro), ci sembra l‘ipotesi che fa risalire il termine all’antica Roma dove i bambini a scuola marciavano per quattro. Difficile che il termine sia ricomparso nel volgare dopo oltre dieci secoli in cui non ha lasciato traccia.

A nostro parere (detto molto sommessamente), l’origine più probabile, è quella di una derivazione da una voce popolare tardo-latina che significherebbe «spezzone», più propriamente uno di quelli derivanti da una grossolana suddivisione in quattro, tipicamente quello che si fa con una pagnotta. Azzarderemmo anche che il termine latino potesse essere «quadrarum» (ripetiamo, non attestato) che stava ad indicare un «riquadro», un equivalente di «quadrante» geometrico.

Un’ipotesi simile potrebbe essere la derivazione dal vaso che si usava per le misure di capacità. In alcune zone esisteva quello piccolo relativo ad un quarto di unità detto «quartano» o «quartana».

Insomma, si tratterebbe di un termine scherzoso per indicare il bambino come parte di una persona intera.

D’altronde, a 6-7 anni un bambino pesa all’incirca un quarto di un adulto!

Ultimo aggiornamento ( 17 Gennaio 2021)