In Abruzzo, in particolare nella sua parte meridionale, si sente ancora parlare di “caracine” ma, purtroppo, sempre meno e con definizioni e riferimenti spesso poco convincenti. Quando una parola è di uso abbastanza comune, può capitare che qualcuno ne faccia un uso non molto appropriato che, però, la comunità è in grado di individuare e rettificare. Se poi lo stesso termine viene usato sempre più sporadicamente, eventuali imprecisioni rischiano di consolidarsi per assenza di contrasto efficace. Stabiliamo, quindi, che con il termine dialettale “caracine” si indica esclusivamente il fico secco. La pianta e il frutto (anche se di frutto non si dovrebbe parlare in questo caso) sono chiamati “fìquere” (i fichi fioroni sono “filacciane”). I fichi essiccati sono ormai generalmente chiamati “fìquira sicche” e solo qualche nostalgico usa il classico “caracine”.

Ebbene, il rischio che la definizione di “caracine” scompaia non ci piace proprio. Dietro quella parola ci sono pezzi importanti della nostra storia in termini etnici, sociali ed economici. Questo perché a nostro parere essa non deriva, come da più parti si sostiene, dalla Caria, antica regione costiera dell’Anatolia nell’odierna Turchia, bensì da radici ben infisse nel nostro territorio. La regione turca compare nel nome scientifico del fico comune, «ficus carica», e questa definizione risale al XVIII secolo quando per la maggioranza degli studiosi dell’epoca, non di origine mediterranea, il fico era un frutto esotico proveniente prevalentemente dall’Anatolia. Dalle nostre parti, invece, i fichi, anche quelli secchi, erano un prelibato alimento già da qualche millennio e non si comprende il motivo per cui i nostri conterranei dovessero pensare alla Caria parlando di fichi essiccati. Un’etimologia imprecisa e anacronistica che non spiegherebbe neanche la sua diffusione locale e pervasiva (nel tempo ha dato vita anche alla derivazione “accaracinite” per rinsecchito o avvizzito, particolarmente con riferimento a persone).

Più appropriata ci sembra l’origine locale e molto antica che riconduce alla tribù dei Carecini, conosciuti anche come Caraceni o Carricini. Erano la più settentrionale delle tribù autenticamente Sannite e la capitale, Cluviae, era collocata nella zona di Piano La Roma ai confini con le tribù sannitiche dei Frentani e dei Peligni. Questa è l’area in cui si producevano e tuttora si producono i migliori fichi di una vasta area peninsulare italiana. Recenti ritrovamenti archeologici confermano che i Carecini usavano conservare i fichi mediante essiccazione come fonte energetica a disponibilità immediata: erano le loro barrette energetiche!

Tutto questo ci induce a ritenere la definizione di “caracine” corrisponda ad una forma sostantivata di quella con la quale le popolazioni del nostro territorio, fin dall’antichità, designavano quelle delizie del palato (“fìquere caracine”).

Ultimo aggiornamento ( 03 Dicembre 2021)