/pïpïdìnië/ s m - peperone

È certamente curiosa la denominazione dialettale di quest'ortaggio molto apprezzato dai guardiesi.

La versione piccante (pipidinie cucente) richiede un apparato digerente robusto soprattutto alle estremità, ma il peperone dolce lo ritroviamo in una miriade di preparazioni culinarie tradizionali: arruste, aripjine, ‘nche lu baccalane, ‘mmezz’ a la frettate, ‘nche le pummadore dentr’a le buttije ecc..

Emidio Vitacolonna nel suo "Glossario" ricorda che nei tempi andati, in occasione della festa dell'Addolorata, si svolgeva un ricco mercato di peperoni e la gente povera li chiamava "le savicicce de Mijàneche".

Diciamolo subito: a Guardiagrele i peperoni si chiamano pipidinie. Altre denominazioni non dovrebbero essere ammesse. Perdoniamo Aldo Aimola se in “A l'ammurrite” parla di “na tijelle de piparule e de patane fritte”. Lo facciamo volentieri per un motivo che spiegheremo tra un po’.

Lasciamo quindi stare piparole e (orrore!) pipintone, di provenienza furasche. Ma soprattutto evitiamo certe affettazioni quando si va al mercato a chiedere “Du chile de peperone”!

Pipidinieè una parola che si dovrebbe pronunciare con un certo orgoglio guardiese. Infatti, quando la pianta arrivò dall’America con il secondo viaggio di Colombo, nella versione più piccola e piccante, venne assimilato al pepe e chiamato in vari modi: “peperone” (grande pepe), “pepe cornuto” (per la forma) ma, soprattutto dalle persone più colte, “pepe d’India” a causa della sua provenienza dalla Indie Occidentali (America). Con questo nome era indicato nei testi scientifici dell’epoca.

Se qualcuno avesse dei dubbi sul passaggio da “pepe d’India” a “pepe d’inje”, o come preferiamo scrivere “pipidinie”, ci viene incontro il caro Aldo Aimola che intitolò “Fiche d’ìnje” un componimento della raccolta “N’atru jurne”.

E allora avete capito che di fronte a pipidinie anche l’italiano “peperone” risulta, in fondo, piuttosto banale.

Ultimo aggiornamento ( 08 Luglio 2013)