Alla Cantine è ormai ricorrente constatare come tutte le parole, siano esse dialettali o in lingua, preservano tratti della loro storia che spesso è storia di vite e costumi antichi e dai più dimenticati. Abbiamo dedicato una sezione del nostro sito a queste parole (le "Bone Parole") a volte loro stesse dimenticate ma, in ogni caso, ricche di contenuti generalmente ignoti.

Potete immaginare la nostra gioia quando abbiamo scoperto cosa si nascondeva nella parola "carnecchje" che solo in pochi ricordano a Guardiagrele e nei territori circostanti. Addirittura abbiamo motivo di ritenere che neanche i signori Carnecchia, con cognome di una certa diffusione, siano a conoscenza delle origini della parola.

Nel nostro Dizionario di Guardiese il termine è registrato con riferimento all'uso diffuso che se ne faceva fino a tempi abbastanza recenti, uso attestato anche in pubblicazioni che si occupano del dialetto delle nostre zone. Si parlava di carnecchje nelle similitudini in cui si voleva richiamare un odore sgradevole che, associato alla carne, non poteva essere che di putrescenza. Si diceva "Puzze di carnecchje!" ma non si approfondiva il concetto.

Poi è intervenuto Gino Primavera, appassionato cultore di tante discipline tra le quali il nostro dialetto. Ha voluto condividere con noi una sua storia personale:

 

«Avro' avuto 4-5 anni: mio nonno e mio zio facevano le chjochje; le prime, le più antiche, si facevano 'nchi li curie, pelli di asini e cavalli vecchi che venivano stese al sole e tirate 'nchi li pirule perchè, una volta asciugate, risultassero belle stese e no' 'ncuncate

«Durante questo processo che durava qualche giorno, mio nonno mi dava il suo coltello affilatissimo e mi diceva: "Vatte a pija' la carnecchje". Erano i filacci di carne che, dopo la scuoiatura degli animali, restavano attaccati alla pelle.»

Abbiamo così capito che la carnecchje è, in realtà, la carne residua della macellazione, priva di valore commerciale. Tutte le parti non utilizzabili venivano accantonate in attesa di smaltimento e spesso c'era tutto il tempo perché esse cominciassero a emanare odori sgradevoli (la puzze di carnecchje).

Quando però le parti che non avevano interesse in macelleria venivano in qualche modo riutilizzate, come nel caso delle pelli, poteva accadere che la carnecchje avesse i suoi "estimatori", infatti Gino aggiunge che i pezzetti di carne «essiccati e sapientemente asportati con coltello affilato, senza minimamente intaccare la pelle, costituivano una specie di pemmican che da bambini stavamo per ore a masticare. Era uno dei trucchi per appropriarsi di preziose proteine animali in mancanza di carne vera...».

Per concludere, Gino Primavera ha voluto farci omaggio di un'immagine del coltellino che il nonno, Middijucce (Sirrajole), gli consegnava per eseguire la delicata operazione di asportazione della carnecchje.

Siamo sicuri che il tutto avveniva all'insaputa della mamma, non per riserve riguardanti il tipo di alimentazione, anzi, ma perché non avrebbe apprezzato questa tipica complicità tra nonno e nipote che permetteva ad un bambino così piccolo di maneggiare il "pericoloso strumento"!

Ultimo aggiornamento ( 03 Luglio 2019)