Una delle parole dialettali più ricorrenti nella nostra zona è cocce. Una delle più popolari opere di Modesto Della Porta è La cocce di San Donate e questa parola ricorre in una lunga serie di espressioni tipiche del dialetto. Ricordiamo anche una delle battute più fulminanti che ascoltammo da un conoscente, il quale rivolgendosi ad un amico che si stava dilungando in ragionamenti inconsistenti lo apostrofò dicendogli: «Niculi’, ‘mprìsteme ‘ssa cocce cà mi vuje aripusa’!».

Tuttavia, se state pensando a cosa possa avere di particolare questa parola per dedicarle una nota apposita, seguiteci in questo breve girovagare tra parole comuni, forse banali, e scoprirete risvolti che probabilmente vi sorprenderanno.

Permetteteci di prenderla un po’ alla lontana ricordando una storiella che circolava anni fa tra quelli che si occupano della nostra madre lingua “ufficiale”.

Si raccontava di un’insegnante di italiano, una di quelle di una volta, che riprese duramente un allievo che aveva osato risponderle: «Professoressa, non sono stato io a iniziare a far casino!». E lei: «Anche se non fossi stato tu, ti metto una nota per il linguaggio che usi. Cosa sono queste espressioni? Non conosci parole più civili? Avresti potuto dire che non sei stato tu a iniziare a far chiasso!». Precisiamo che il lato comico della vicenda è che la povera insegnante non sapeva che “chiasso” e “casino” sono praticamente sinonimi e non nel senso di “confusione”, proprio nel senso di “bordello”!

Abbiamo ricordato questa storiella perché alcune volte, quando eravamo piccoli, ci capitò di assistere a richiami del tipo: «Non si dice “coccia” si dice “testa”». Mamme e insegnanti non volevano che usassimo il dialetto e qualche volta, invece, ci capitava di usare parole dialettali ingenuamente italianizzate.

Ebbene, mai avremmo immaginato che, in realtà, “testa” non è meglio di “coccia”. Non ci credete? Allora cominciamo col considerare che all’inizio c’era in latino “caput” per indicare quella parte del corpo che (generalmente) abbiamo sulle spalle. L’italiano ne derivò “capo” mentre la maggior parte dei dialetti meridionali si indirizzò verso “capa”. Da noi permangono ancora le espressioni “da cape”, “’ncape” e “da cape a pide” ma, per il resto, capo si dice cocce con la legittima domanda sul perché.

Il motivo è presto detto: è lo stesso per cui in italiano si usa “testa”! Proprio così, “testa” è il nome che in latino designava qualsiasi vaso di terra cotta, ossia “di coccio”, e nel corso dei secoli, prima in senso scherzoso, poi a tutti gli effetti, ha sostituito il più appropriato “capo”. La testa come vaso contenente il cervello, la parte più importante del corpo. Nel nostro dialetto questo vaso era la “coccia”!

Una curiosità: ascoltate la bellissima canzone napoletana “Marechiaro” di Salvatore Di Giacomo e tra i primi versi si dice che «Nu garofano addora ‘int’a na testa...» perché nel dialetto napoletano il capo è “a capa” e il vaso è “a testa”.

Insomma, cocce è proprio l’equivalente di “testa” e non è certamente termine meno “nobile”, checché ne dicano gli accigliati detrattori del nostro dialetto.

Ultimo aggiornamento ( 09 Settembre 2017)