Nel suo Glossario del dialetto guardiese Emidio Vitacolonna ci ricorda che «nei tempi passati chi non onorava i debiti veniva condannato a dare "lu cule a lu tùmmele" in pubblica piazza».

L’espressione ricorreva di frequente nella bocca dei guardiesi più anziani mentre la curiosità dei più giovani veniva soddisfatta con risposte che non andavano al di là di quanto indicato nel Glossario. Di cosa si trattava, in effetti?

Il piccolo mistero è legato ad una condanna che veniva inflitta a chi, come detto, non onorava i debiti ed era comunemente nota come “pietra del vituperio” (lu tùmele).

Occorre dire che dai tempi antichi non onorare un debito è ritenuto colpa particolarmente grave. Stando alle Leggi delle XII Tavole (V sec. a.C.) i creditori non soddisfatti potevano uccidere o ridurre in schiavitù il debitore. Fu Giulio Cesare a istituire la pena alternativa della “pietra dello scandalo”, una grossa pietra posta in prossimità del Campidoglio sulla quale i debitori procedevano alla svendita immediata di tutti i propri averi a favore dei creditori. L’operazione si eseguiva con una pubblica umiliazione consistente nella “cessione dei beni a natiche nude sopra una pietra” (“bonorum cessio culo nudo super lapidem”). Il debitore insolvente annunciava ad alta voce l’intenzione di svendere tutti i suoi beni e contemporaneamente si sedeva violentemente per tre volte sulla pietra. Distribuito il ricavato ai creditori, la colpa era considerata estinta ma l’eco della particolare pena faceva sì che il condannato non avesse più possibilità di credito in città.

Pietra del vituperio a PescocostanzoQuesta particolare pena tradizionale attraversò i secoli fino a tempi relativamente recenti: ne restano tracce fino al XVIII secolo e in alcune aree del meridione d’Italia anche oltre! Ogni città aveva la sua “pietra del vituperio”, secondo la nuova denominazione, e su di essa si eseguiva il rituale della “acculattata”.

È importante precisare che nel Medioevo si tornò in molti territori alla spoliazione dei beni accompagnata da pene corporali anche estreme, tant’è che una bolla di papa Pio V, nel 1570, stabiliva la pena capitale per i bancarottieri. Tuttavia, a mano a mano, si estendeva anche il ritorno all’acculattata sulla pietra del vituperio.

A Padova, Sant’Antonio, consapevole del gran numero di cittadini rovinati dall’usura, ottenne nel 1231 la modifica dello Statuto Comunale recuperando la pena dell’acculattata in sostituzione del carcere perpetuo.

Negli ultimi secoli il diritto fallimentare ha superato questa pena pittoresca che però è rimasta nella memoria popolare che parla ancora di “da’ lu cule a lu tùmele”.

Ma di tutto questo non c’è solo memoria nella tradizione: ci sono ancora conservate pietre del vituperio in alcune località italiane. Quella che vi mostriamo, una pietra alta circa 80 cm con diametro di circa 70, si trova, tra l’indifferenza generale, ai piedi della scalinata di S. Maria del Colle, in pieno centro a Pescocostanzo!

Ultimo aggiornamento ( 21 Maggio 2017)