Sin dall’infanzia, nel periodo delle feste e in occasione delle scampagnate, abbiamo tutti avuto modo di assaggiare i timballi preparati dalle nostre mamme, da conoscenti o da ristoratori locali. Le varianti erano numerose ma raramente facevano dubitare del fatto che si trattasse effettivamente di timballi che rispettavano i fondamentali della tradizione locale.

In Abruzzo, o più spesso altrove, abbiamo poi gustato piatti simili presentati con denominazioni che richiamavano le tipologie del pasticcio o della lasagna, però, quando ci mettevano davanti un riquadro di timballo non avevamo alcun dubbio nell’identificarlo come tale. Tutto questo per noi era scontato.

Fino a pochi giorni fa.

È accaduto che un’amica settentrionale ci ha chiesto informazioni sui piatti tipici delle nostre feste. Aveva sentito spesso parlare delle succulente pietanze che si preparano per queste occasioni e quindi desiderava cimentarsi nella preparazione di qualcosa di abruzzese per il pranzo di Pasqua.

Tra le varie pietanze che ho avuto modo di descrivere, si è orientata sul nostro timballo, non difficile da preparare se si hanno gli ingredienti giusti e una dettagliata descrizione del procedimento di preparazione. Inevitabile, quindi, la richiesta di una ricetta dettagliata ma imperdonabile l’errore da me commesso quando le ho suggerito di cercare in internet la ricetta più dettagliata tra le tante presentate per il timballo abruzzese.

Per comprendere l’errore provate anche voi a cercare e vedete se riuscite a trovarne una che assomiglia al timballo che siete abituati a gustare nella nostra zona!

Secondo la rete il timballo abruzzese è esclusivamente quello teramano che non ha la sfoglia ma le crespelle, le loro crespelle, non quelle guardiesi, bensì sottilissime frittatine preparate come crêpe francesi!

Avrete modo di leggere che «il timballo abruzzese è un piatto tipico della tradizione culinaria abruzzese ed è un pasticcio che si prepara nel teramano», che si può fare con la besciamella e che può essere a base di riso (sic!). Alla terza pagina dell’elenco di ricerca mi sono fermato perché avevo il cervello fuso e lo stomaco in subbuglio.

 

Insomma, questa amica ha preparato inconsapevolmente il timballo teramano pensando si trattasse di quello tipico abruzzese. Alla fine non mi è sembrata entusiasta del risultato, probabilmente perché molto diverso da quanto le avevo descritto. Ho l’impressione di aver perso molti punti nella sua considerazione a fronte della mia ignoranza su come si fa il timballo in Abruzzo.

 

Allora mi sono affrettato a confrontarmi con gli amici della “Cantine” che, per fortuna, mi hanno confortato condividendo pienamente le mie perplessità e spingendomi ad approfondire i motivi di questa situazione.

Per procedere speditamente nel nostro discorso è necessario fare chiarezza preventivamente sulle questioni terminologiche.

Il timballo appartiene alla categoria gastronomica dei «pasticci» (vivanda rivestita di sfoglia e cotta al forno). Alla stessa categoria appartengono le cosiddette «lasagne» e qui è indispensabile uscire da ogni possibile equivoco.

Per lasagna si deve intendere la singola sfoglia di pasta a forma rettangolare (più o meno) che si utilizza per preparare gran parte dei pasticci di cui stiamo parlando; in pratica, le lasagne sono le “pittilelle” ritagliate dalla sfoglia tirata a mano (la “pèttele”). Sono “pittilelle” anche quelle che si ritagliano per appoggiarle sulle corde della chitarra nostrana (“maccarunare” o “carrature”) per fare gli spaghetti (“maccarune”). Il piatto più noto di questa categoria si chiama «lasagne alla bolognese», ovviamente al plurale.

Quello che siamo abituati a mangiare, invece, è sostanzialmente un “timballo alla napoletana” di cui esistono tante piccole varianti tra le quali rientrano a buon diritto quelle che comunemente gustiamo a Guardiagrele e dintorni. Si chiama timballo in tutto il Meridione d’Italia perché il nome «lasagne» non ha mai attecchito dalle nostre parti a causa, lo capite benissimo, dell’inevitabile confusione con “li sagne”.

Il termine «timballo» significa «tamburo» ed è arrivato in Italia dalla Francia dopo varie commistioni di termini arabi e spagnoli. Più precisamente corrisponderebbe al timpano che ha forma emisferica ma poi in Italia è stato usato anche per i tamburi cilindrici cui il nostro timballo tradizionale assomiglia per la forma (le teglie rettangolari sono invenzione relativamente moderna).

Particolare interessante è che la definizione di «timballo» ha attecchito in Abruzzo in tempi relativamente recenti perché molti ricorderanno i nostri vecchi che usavano il termine «timpáne». Noi che avevamo studiato (magari solo le elementari) pensavamo che questo uso derivasse dalla loro scarsa istruzione, invece era proprio il contrario: la diretta derivazione da «tìmpano» è evidente.

Il nostro esperto della Cantine ci informa che in nessuna vecchia pubblicazione sul lessico abruzzese si trova traccia di qualcosa di simile a «timballe» ma solo ed esclusivamente «timpáne». D’altronde, anche il nostro Modesto fa dire da Caruline al marito che ha tardato per il pranzo: “Le maccarune à fatte lu tembàne”!

L’esperto aggiunge, poi, che anche le «lasagne alla bolognese», per estrema precisione, andrebbero chiamate «timballo alla bolognese» e le lasagne costituirebbero semplicemente un ingrediente, come per gran parte dei timballi.

Chiarito tutto questo, possiamo procedere più speditamente a chiudere i tanti discorsi aperti da questo curioso caso.

Le due ricette di riferimento per le lasagne, «lasagne alla bolognese» e «timballo alla napoletana» sono antichissime e appartengono alla categoria dei «pasticci di lasagne». Dal punto di vista della composizione base sarebbero addirittura identiche: lasagne e ragù di carne con l’aggiunta di un ingrediente a base di latte. Il risultato, invece, è molto diverso perché molto diversi sono i due ingredienti specifici.

Innanzi tutto, il ragù è l’ingrediente caratterizzante e fornisce il nome alle due ricette. Parliamo dei due capisaldi della cucina italiana: il ragù alla bolognese e quello alla napoletana. Come certamente saprete, il sugo del ragù alla napoletana viene usato per condire la pasta dopo averlo separato dalla carne mentre il sugo del ragù alla bolognese conserva la carne macinata con la quale viene preparato. Per questo motivo, in molte ricette della versione napoletana compaiono piccolissime polpettine di carne mista facendo sì che le due ricette di riferimento tornino ad assomigliarsi. Quindi, in fin dei conti, la vera diversità, per gli occhi ma soprattutto per il palato, è costituita dall’ingrediente a base di latte che nel timballo non è la besciamella ma un sapiente misto di latticini che producono anche un effetto filante.

Il timballo nostrano, versione abruzzese di quello napoletano, si connota per l’uso di scamorze (fior di latte e appassite) e per lo spessore delle lasagne, molto maggiore che in tutte le altre ricette.

Tornando alla nostra ricetta teramana, cosa possiamo dire? Certamente nulla a che vedere con il timballo alla napoletana nella versione abruzzese e neanche con le lasagne alla bolognese. D’altro canto, non è sostenibile la sua definizione di «timballo abruzzese» perché in gran parte dell’Abruzzo il timballo si prepara in modo significativamente diverso. Resta, allora, la chiara e ovvia possibilità di chiamarlo «timballo alla teramana» che ha la particolarità di essere un «timballo di crespelle» con tutte le possibili varianti sugli altri ingredienti.

In definitiva, possiamo affermare che il «timballo abruzzese» non esiste. Infatti, in Abruzzo il timballo più diffuso è una versione del «timballo alla napoletana» mentre esiste una ricetta originale, fondamentalmente diversa, tipica dell’area teramana quindi un vero e proprio «timballo alla teramana» caratterizzato dall’essere un «pasticcio di crespelle».

A questo proposito lasciamo volentieri la parola a Gino Primavera, eminente gastronomo nostro concittadino, che ci rende partecipi di un personale aneddoto.

“Nel lontano 1978, ancora pivello e fresco di studi, ebbi il primo incarico di insegnamento all'alberghiero di Villa Santa Maria. Insegnavo scienza degli alimenti ma già la gastronomia mi entrava nel sangue. All'epoca il tipo di cucina dominante era quella classica internazionale, di derivazione francese: si sprecavano le «Selle di vitello alla Orloff», le «Aragoste alla Thermidor» e i «Trionfi di cacciagione». Unici piatti nostri che erano ritenuti degni di essere inseriti nei Gran Menu dell'epoca erano le «Scrippelle 'mbusse" e il "Timballo alla teramana" che qualche vecchio chef chiamava ancora "timpano" e non timballo. L'arte di fare le scrippelle era certosina e per un alunno sbagliare la scrippelle poteva costare l'anno scolastico. Non erano "frittatine" ma impasti di uova, farina e acqua (non latte come nelle crepes francesi) che dovevano risultare sottilissime (era questa la prova del 9). Le scrippelle erano usate nel brodo ('mbusse) e nel timballo. Quest'ultimo veniva condito con un sugo rosa (con besciamella), polpettine di carne e uova e doveva essere molto alto, quasi "millefoglie". La versione “doc” prevede ben 39 strati di scrippelle! Si tratta, quindi, di una ricetta ben codificata, frutto di una incredibile fusione di culture e scuole diverse: innanzitutto quella francese, ma con il riscatto degli ingredienti e con l'unica concessione della besciamella (ma non dimentichiamo che già l'Artusi la indicava per molti piatti); e poi la derivazione da una cucina nobiliare o altoborghese ma che diveniva popolare nei giorni di festa: nelle cucine della scuola di Villa Santa Maria, quando un anziano chef (il famoso «Pacitto», Domenico Pace Stanziani) faceva il timballo alla teramana, altri insegnanti e alunni assistevano in silenzio religioso alla sua preparazione.”

Il prof. Primavera non può fare a meno di commentare con tanta manifesta nostalgia: “Il timballo alla teramana della buonanima dello chef Pacitto era un'opera d'arte, il più buono che io abbia mai mangiato”.

Per concludere con il timballo a noi più familiare, osserviamo che la ricetta da noi preferita (tra le poche, purtroppo, disponibili nel web) è quella di Lady Erbapepe (al secolo Francesca D’Orazio Buonerba), esperta di cucina di origini abruzzesi, apprezzata anche dal nostro Gino Primavera. Lady Erbapepe, nata nel chietino e, guarda caso, cresciuta nel teramano, riporta la sua ricetta definendola «timballo della nonna», evitando quindi ogni possibile confusione.

In ogni caso ci sta bene un «buon appetito!».

Ultimo aggiornamento ( 22 Novembre 2023)