Durante le feste natalizie preferiamo mangiarli e non starci tanto a discutere sopra, ma, non appena si riaffaccia la nostalgia, la nervatura comincia a dare segnali sempre più inquietanti. Di questo sono responsabili quelle squisitezze della pasticceria casalinga del nostro territorio, variamente e maldestramente denominate, ma che dovremmo tutti definire “caviciunitte”. Perché continuare a maltrattarli con storpiature quasi offensive? Ci vuole più di una punta di sadismo nello scrivere, tanto per fare un esempio, “caggiunitt”. In italiano quella specialità si chiama «calzonetto» e in dialetto abruzzese (non solo guardiese) “caviciunette”. Il resto è costituito da indisponenti storpiature. Per chi avesse dei dubbi a riguardo andiamo a spiegare il perché iniziando dalla riaffermazione del chiaro riferimento al «calzone» (gastronomia) e ai «calzoni» (abbigliamento). Per ordine logico e cronologico cominciamo da questi ultimi.

Dal latino calce(m) (calcagno), in epoca medievale, nacque il termine calcea(m) per indicare una semplice calza. Da quest’ultimo, nell’italiano dei primi secoli, derivarono i due termini «calcione» e «calzone», entrambi col significato di calza lunga che copre l’intera gamba. Gli stessi termini vennero successivamente usati quando questi «calzoni» non erano più realizzati in maglia ma in tessuto. Verso la metà dello scorso millennio, la moda dell’epoca portò alla distinzione tra le calze in maglia per la parte inferiore delle gambe e i calzoni in tessuto per la parte superiore (uniti fra loro).

A quel tipo di calzoni dobbiamo guardare per capire perché a Napoli venne chiamata «calzone» la versione di pizza napoletana ottenuta ripiegando a metà il disco di pizza. La forma risultante richiamava il calzone che copriva una coscia. Il nome di quella specialità gastronomica si adattò alle denominazioni che l’indumento aveva nei vari dialetti meridionali. Si partiva dal napoletano “cazone” per arrivare, ad esempio, a “cauzone” e “cavicione” (ossia «calcione», di cui si è detto).

Quando, tempo dopo, cominciarono a diffondersi gli squisiti dolcetti a forma di piccolo calzone fu naturale utilizzare i corrispondenti diminutivi, spesso differenziandosi da quelli impiegati per l’indumento. L’italiano disponeva di «calcione» e «calzone» da cui derivarono rispettivamente «calcionetto» e «calzonetto» mentre il dialetto nelle nostre parti, terra d’origine di quelle paste dolci, da “cavicione” originò “caviciunette” (nelle varie sfumature locali). Si noti che questi diminutivi erano specifici per le paste perché per l’indumento si usavano normalmente «calzoncino» e, per il dialetto “cavizunette”.

Chiarito l’aspetto storico e lessicale, è doveroso fare qualche conseguente considerazione pratica relativamente all’uso corrente del termine.

Dovendo scegliere una denominazione per l’italiano, preferiamo «calcionetto» perché più caratterizzante. La forma «calzonetto», anch’essa pienamente legittima, si può usare se si vuole evidenziare il richiamo al calzone farcito napoletano. Per il dialetto non ci sono dubbi: caviciunette come diretta derivazione dell’antico cavicione.

I nostri squisiti dolcetti ottenuti farcendo un disco di pasta ripiegato a metà sono, dunque, «calcionetti» (nel nostro dialetto “caviciunitte”) e questo è indifferente rispetto al tipo di farcitura perché il nome riguarda esclusivamente la forma. È una regola generale per tutte le paste ripiene (ravioli, cannelloni, tortellini ecc.) che i loro nomi restano tali con qualsiasi ripieno. Dal canto loro i «celli pieni» sono tali solo se hanno la forma di volatile, come si fa in molte zone della nostra regione, altrimenti anche loro, nel caso, non sono altro che calcionetti.

Aggiungiamo poi che, di regola, i calcionetti dovrebbero essere cotti al forno perché quelli fritti non risalirebbero ai calzoni napoletani, bensì ai panzerotti pugliesi.

Per concludere, dobbiamo evidenziare che questa disamina, a fronte della molteplice varietà di forme e farciture, porta a definire solamente i calcionetti, prodotti dolci da forno a forma di piccolo calzone. Il tipo di farcitura va specificato caso per caso. Ci saranno quindi caviciunitte ‘nchi la scrucchijate, ‘nchi li castagne o ‘nchi li cice. Analogo ragionamento può essere fatto per i celli pieni o per i ravioloni. Purtroppo, dalla classificazione restano fuori altre forme abbastanza comuni come quella simile a un grosso cappelletto da brodo. Anche per queste forme si usa per comodità il termine «calcionetto» come indicazione generica che, invece, abbiamo detto essere specifica. Nel caso di grosso cappelletto potrebbe andar bene proprio la denominazione di «cappellone» (“cappillune”) perché il cappelletto, al contrario di tortellini e tortelli, ha una sua forma ben definita e univocamente riconosciuta.

Ultimo aggiornamento ( 30 Dicembre 2023)