- Addo’ vì, Lucia’?

- Ué, Fili’, vaje a lu cìneme!

- Ah! E chi vì a vide’?

- Vaje a vidèreme Totò a lu Priposte

- Totò? E chji âtre ci lavore?

- Mah, mi sembre ca a lu tabbillune di la piazze aji viste pure Nino Tàrante.

- Ah, şine! Tì ‘rraggiune, mu m’aricorde ca l’aji viste pure jì. Şine, şine, vatte a fa’ quattre risate!

- Jè lu vere! Tante a lu ‘Rrajate ci sta na pillìquele di bandite ‘nchi Gemse Stiuàrte chi ni mi piace tante!

Questa è la ricostruzione di un dialogo tipico all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso tra due amici, Luciano e Filippo, che si incontrano per strada a Guardiagrele.

Chiariamo subito che Luciano, a domanda di Filippo, dichiara di stare andando a vedere un film (pillìquele), probabilmente “Totòtruffa ‘62”, al Cinema Italia (a lu Priposte) perché l’alternativa è un film western (di bandite) con James Stewart al Cinema Partigiano (a lu ‘Rrajate).

Al giorno d’oggi un dialogo veloce con questo argomento non è immaginabile. Invece nell’ultimo dopoguerra erano tantissimi a recarsi al cinema, anche un paio di volte a settimana. La televisione arrivò in qualche casa solo in quegli anni e quindi si poteva passare il tempo assistendo a un film, a volte anche a due, spendendo meno di quanto si sarebbe speso in una “cantina”.

 

I film erano di seconda e terza visione ma inediti sulla piazza. Le sere dei giorni feriali si alternavano film italiani e stranieri di tutti i tipi riservati ad un pubblico adulto, ma il fine settimana era riservato ai film di maggior richiamo e, in particolare, ai giovani che spendevano volentieri la mancetta domenicale.

Ecco, la domenica pomeriggio gli adulti dovevano stare alla larga dai cinema: ai botteghini c’era ressa molto prima dell’apertura. Parliamo seriamente di ressa perché per prendersi i primi biglietti e accaparrarsi i posti migliori valeva solo la legge della giungla! Ragazzi, esclusivamente maschi, di diversa età e ceto sociale, si confrontavano e affrontavano con veri atti di bullismo, a stento tenuti a freno dal personale del cinema. Niente coda ma assembramento e neanche dopo esserti conquistato un posto eri certo di conservarlo di fronte a certi “chiari e pressanti inviti” a spostarsi altrove.

Finalmente, dopo alcuni minuti di agitazione generale, arrivava il buio in sala e partiva il Cinegiornale SEDI, a volte La Settimana Incom. Per dieci minuti lo si guardava distrattamente preparandosi a gustare con entusiasmo i “trailer”, i filmati promozionali che anticipavano gli spettacoli dei giorni successivi. Per l’abilità con cui erano costruiti e per la sete di avventura di quel pubblico, la proiezione avveniva con grande partecipazione e si faceva a gara nel ricostruire la trama del film da quelle poche immagini. All’epoca nessuno sapeva il nome di questi brevi capolavori. Anni dopo la TV ci insegnò a chiamarli i “prossimamente” ma a Guardiagrele hanno sempre avuto un nome ben preciso: li pròleche (prologhi). Sarebbero diventati uno dei principali argomenti di conversazione tra i ragazzi fino alla domenica successiva.

Trasmesso l’ultimo pròleche, breve intervallo con luci in sala per un paio di minuti. Iniziava la concentrazione per il film ma il silenzio rimaneva un concetto relativo. In fondo il film era l’occasione per stare assieme e quindi commentare a voce più o meno alta.

Dopo alcuni minuti di proiezione, quando si poteva prevedere che le luci non si sarebbero riaccese per un bel po’, qualcuno cominciava a tirar fuori una preziosa sigaretta, quella in qualche modo trafugata a un genitore o regalata da un fratello più grande. Erano tra quelle più economiche e quindi più “toste”, rigorosamente senza filtro perché quelle col filtro costavano di più e avevano meno tabacco. Ragazzi intorno ai dieci anni non reggevano tante boccate e dopo un po’ la sigaretta passava agli amici. La si fumava lentamente perché durasse il più possibile e per poterla fumare fino in fondo la si prendeva con uno spillo infilato all’estremità.

A metà film la sala era avvolta in una nebbia che il fascio di luce del proiettore evidenziava e penetrava con qualche difficoltà.

I film domenicali per ragazzi erano soprattutto di avventura, con prevalenza di western e peplum (storie dell’antichità di Roma, Grecia ed Egitto) con protagonisti i forzuti Ercole, Maciste, Ursus e Sansone. A completare l’offerta potevano esserci Totò e i sempreverdi Stanlio e Ollio.

I film comici avevano un pubblico che faceva da colonna sonora ininterrotta tra commenti e risate mentre i film d’avventura procedevano con maggiore attenzione da parte degli spettatori. Interessante annotare come dessero particolare fastidio le inevitabili scene romantiche che quel pubblico avrebbe volentieri tagliate. Risolini di scherno e compatimento accompagnavano la scena del bacio, casto ma appassionato, che interrompeva l’azione e la concentrazione. Se avveniva nel corso del film, si approfittava per riprendere fiato come nel canonico intervallo tra il primo e secondo tempo. Se la scena romantica seguiva la lotta finale in cui finalmente il protagonista, il buono, denominato “l’attore”, ammazzava il cattivo, si abbandonava la sala pieni di eccitazione per il drammatico epilogo e si lasciava il protagonista ai suoi obblighi di trama. A meno che...

Già, a meno che non si decidesse di rimanere in sala per rivedere lo spettacolo. Sarebbe mancata l’ansia ma lo spirito più sollevato da un epilogo confortante dava un sapore diverso, come a li laganelle ripassate in padella.

L’uscita avveniva sempre piuttosto lentamente perché ci si attardava a studiare i manifesti e le locandine dei prossimi film appesi alle pareti. Era una grande soddisfazione se si riusciva ad avere anticipazioni su quale sarebbe stato il film della domenica successiva! E si sfiorava il feticismo se si riusciva ad avere qualche vecchia locandina o spezzature di pellicola abbandonate dopo le giunzioni eseguite dal proiezionista.

I grandi andavano al cinema la sera, prevalentemente nei giorni feriali. Erano in maggioranza giovanotti e signori, mentre signore e signorine si avventuravano al buio solo se legittimamente accompagnate. Per una maggiore riservatezza si accomodavano in galleria.

I film erano più seri e le scene romantiche non davano fastidio, anzi... si ricordano ancora le turbolenze provocate in sala dal lungo bacio del film “Notorious” (in guardiese: Notoriùs!).

A quelli più giovani che leggono queste note saranno venute in mente le atmosfere da “Nuovo Cinema Paradiso”... ma non era così. Nessuno di noi era un piccolo Salvatores e la poesia non era che prosa. La prosa di locali non sempre igienicamente irreprensibili, con forte odore di ammoniaca non dovuto a detergenti; di poltrone in legno scricchiolanti, instabili e dure senza alcuna imbottitura; di proiezioni che spesso andavano fuori quadro e all’improvviso saltavano perché la pellicola si rompeva.

Qualcosa da rimpiangere? Certamente l’età che non dava importanza agli inconvenienti descritti ma allo stesso tempo non permetteva di apprezzare le tariffe veramente popolari: si entrava al prezzo, all’incirca, di un giornale o di mezzo chilo di pane.

Una cosa però ricordiamo con piacere: l’intervallo in cui ci si riforniva di qualcosa da sgranocchiare e non erano i pop-corn, arrivati anni dopo. All’epoca compariva Rusine, la nucillare, così chiamata perché nei giorni di festa vendeva noccioline americane in strada a Guardiagrele. Era sempre vestita con abiti scuri da vedova, all’antica, che la facevano apparire più anziana di quanto effettivamente fosse. Entrava in sala con il suo cestino di canne e salici intrecciati ripieno di lupini e ceci lessi (lipine e cice allisse), arachidi tostate (nucelle) e semi di zucca abbrustoliti (sumente di chicucce abbruschiate). Li vendeva sfusi in cartoccetti (li scartuzze) o dentro sacchettini ed erano veramente squisiti. Dovere di cronaca impone di riferire che le bucce dei lupini, con la naturale complicità del buio in sala, davano luogo a rituali gare per misurarsi a chi riusciva a sputarle più lontano.

Le bucce finivano sistematicamente a terra e quindi, alla fine del primo spettacolo, la sala era già impraticabile.

Terminiamo queste cronache che si avvicinano sempre più all’altro ieri soddisfacendo alcune curiosità che ai più giovani saranno certamente venute.

Abbiamo menzionato i due cinema che si contendevano gli spettatori: il Cinema Italia e il Cinema Partigiano, ma questi erano solo i nomi ufficiali. Per i guardiesi erano rispettivamente “a lu Priposte” e “a lu ‘Rrajate”.

Il Cinema Italia era un cinema parrocchiale che utilizzava la sala posta tra la cripta di San Rocco e la Biblioteca Comunale. Era gestita direttamente dal Prevosto dell’epoca, don Domenico Madonna, parroco di Santa Maria Maggiore e alla cassa c’era la sorella, sua perpetua, donna anziana ma ancora sufficientemente lucida per far di conto nonostante i ripetuti tentativi messi in atto dai ragazzi per cercare di raggirarla. Ci voleva anche una bella voce (du anghe bune) a causa della sua sordità scarsamente mitigata da un evidente apparecchio acustico. Gli spettacoli erano per famiglie e, come sala parrocchiale, veniva usata anche per proiezioni speciali a carattere religioso riservate agli alunni dell’Istituto San Giuseppe (di li mòneche).

Il Cinema Partigiano, lo si capisce già dal nome, era un cinema “laico”, la cui sala corrispondeva all’attuale salone del Consiglio Comunale. Chi non lo sa non lo immaginerebbe mai ma la presenza della galleria qualche sospetto dovrebbe farlo venire!

La gestione era di lu ‘Rrajate ma non si trattava solo di Mauro Damiano (Mavirucce di lu 'Rrajate). C’era anche il dott. Peppino Felice (dun Pippine) a formare una società che si è successivamente fatta notare per la realizzazione del calzaturificio alle Grotte (ora Centro Commerciale). La stessa società ha poi realizzato il Cinema Teatro Garden quando il Comune ha richiesto il locale del Cinema Partigiano. In quegli anni alla cassa, posta nel sottoscala all’ingresso dal chiostro, sono stati in tanti ad alternarsi. Ricordiamo Rosetta, nuora di Mavirucce, Lina, domestica tuttofare di dun Pippine, e i famigliari di Giovanni Orlando (Giuvanne di Panette).

La programmazione del Partigiano era di qualità più elevata e per questo era frequentato anche dalle famiglie “bene” guardiesi. Per comprensibili motivi era l’unica sala che trasmetteva i famosi film “vietati ai minori di 16 anni”, unico limite allora esistente.

La sala era grande e, particolare curioso, sotto lo schermo aveva una buca sui bordi della quale a noi ragazzi piaceva a volte sistemarci nonostante la visuale improbabile dello schermo incombente. Probabilmente si trattava del cosiddetto “Golfo Mistico” riservato all’orchestra negli spettacoli musicali degli anni precedenti.

La pubblicità dei film avveniva con cartelloni mobili collocati in Piazza e, per spettacoli di particolare rilievo, anche mediante banditore (lu balì). E qui inizierebbe un’altra storia...

Ultimo aggiornamento ( 10 Settembre 2017)