/nènġuë/ v. 2/b – nevicare

 

Gli esperti asseriscono che gli eschimesi hanno tantissimi modi di indicare la neve e questo deriverebbe dal fatto che la neve è per loro materia talmente familiare da richiedere specificazioni di dettaglio.

Altri esperti ritengono che in questo ci sia molta esagerazione. Tutti però concordano sul fatto che almeno una differente denominazione della “neve che cade” rispetto alla “neve a terra” esista in tutte le popolazioni di questo ceppo. Dalle corrispondenti parole derivano poi varianti in serie per definire cose o azioni ad esse collegate.

I guardiesi non hanno un rapporto con la neve comparabile a quello degli eschimesi ma per motivi analoghi hanno sviluppato una terminologia un po’ più ricca rispetto all’italiano corrente. Proviamo a passare in rassegna quello che il guardiese esprime riguardo alla neve.

Come gli eschimesi i guardiesi distinguono la “neve”, la materia, quella che poi ritroviamo a terra (“lu tirrazze sta pjine di neve”), da quella che cade, la “ninguente”. Da notare che il termine è esattamente il participio presente del verbo classico guardiese “nengue”, derivazione diretta dal latino più antico (“ningere”).

La neve che sta cadendo può essere a fiocchi (“cince” o “cinciune”, se più grandi) o a granelli (“ciciarille”). Può avere la consistenza del nevischio (“acquaneve”), può essere debole e rada (“ninguicce”), può essere a gragnuola, ossia a granelli intensi come in una grandinata (“ranilicce”), può essere accompagnata da raffiche di vento (“bufere”) o da un vento freddo e pungente (“rifiline”).

Quando la “ninguente” diventa insistente se ne cominciano a vedere gli effetti. Prima con una “spruvilijate” (cospargimento in maniera irregolare), poi con una “raşate” (copertura regolare con uno strato bianco sottilissimo) e infine con una “‘ncaşate” (copertura regolare con spessore di qualche centimetro). Come avrete notato, si passa, per similitudini, dalla polvere alla grattugiata di formaggio attraverso la “raşe”, termine usato solitamente per la forfora che indica un polverino a grana più grossa e che non ha un esatto corrispondente in italiano.

Il guardiese comincia a considerare seriamente la neve solo quando supera la “‘ncaşate”, quando essa comincia a crescere fino a diventare quella che, con termine ormai quasi dimenticato, veniva indicata come “nivate”, una nevicata importante che sui tetti forma le “rèfene”, pericolose masse sporgenti. Osserviamo che anche questi due ultimi termini sono privi di corrispondenza nell’italiano. La “nivate” può crescere fino alle esagerazioni di questo periodo per le quali non abbiamo trovato termini appropriati.

Poi finalmente la temperatura sale e la neve comincia a sciogliersi (“si squaje” o, come si diceva una volta, “squaje”). Per terra diventa la fastidiosa “zurbette” e poi sparisce, a volte lasciando preoccupazioni, a volte qualche nostalgia. Nella cittadinanza, in fondo un po’ eschimese!

Ultimo aggiornamento ( 24 Settembre 2017)