mantricchjune /mandrïķķùnë/ s m  – tovaglietta


Sarà capitato a tutti di impuntarsi in una frase perché non ci viene immediatamente il termine in italiano corrispondente a cose di uso comune di cui conosciamo benissimo il nome in dialetto. Per quanto riguarda li rèfene, a Guardiagrele si usa ormai comunemente la forma italianizzata di “refina”. Analogamente sta prendendo piede l’uso di “vazzìa”, da noi consigliato in un articolo di qualche tempo fa per indicare quell’elemento di vasellame (la vazzije) simile a un’insalatiera o a una zuppiera ma che le nostre massaie usano raramente per insalate o zuppe.

Alcuni giorni fa ci siamo ritrovati di fronte ad un altro caso: lu mantricchjune.

Eravamo stati invitati ad una scampagnata in montagna organizzata secondo le regole tradizionali che prevedono immancabilmente timballe e citrune. Per il trasporto delle teglie e dei cesti si era fatto largo uso di quelle piccole tovaglie (o grandi tovaglioli) che tutti conosciamo con il nome di mantricchjune ma che gli ospiti forestieri avevano difficoltà a definire. Qualche frastire cominciò ad usare per loro la discutibile definizione di “canovacci”; altri, locali, azzardavano “strofinacci” (ohibò!). La discussione non portò ad una Babele perché il timballo era ancora caldo e gli fu riconosciuta la precedenza rispetto alle questioni lessicali. La sera stessa, però, ne parlammo al nostro circolo coinvolgendo il nostro autorevole nutare Firrare. Il suo parere apparve una sentenza.

Donn’Arnalde spiegò che in Abruzzo questo capo di biancheria domestica è tradizionalmente definito “lu sparune” che è una “spare” un po’ più grande. Tuttavia, queste denominazioni non hanno avuto successo nell’area guardiese, forse perché si preferì richiamare, come vedremo, più che gli strofinacci, una più decorosa tovaglia. Fu così che da “lu mantile” (termine di derivazione latina o forse greca per indicare la tovaglia) si ricavarono mantricchje (spare) e mantricchjune (sparune). In Abruzzo circolavano, però, anche le denominazioni corrispondenti di mappine e mappe e il tutto ha portato a stabilizzare il lessico guardiese su mappine e mantricchjune.

In definitiva, la situazione si può riassumere nel modo seguente.

Il desco viene apparecchiato con mantile (tovaglia) e salvijitte (salviette o tovaglioli), realizzati con tessuto non troppo grezzo ma sufficientemente resistente (era classico acce e cuttune).

Per la cucina circolavano alcuni mappine (strofinacci) per pulire e asciugare. Ottimi quelli prodotti a Bucchianico, manifattura di cui si è persa traccia.

Dentro i cassetti riposavano li mantricchjune, in attesa di uso. Già, ma in effetti, per quale uso?

Fondamentalmente erano usati come piccole tovaglie da lavoratori dei campi o da artigiani che lavoravano lontano da casa. Sopra lu mantricchjune appoggiavano il pasto che prima in esso era stato avvolto. Insomma, se vogliamo trovare un nome in italiano, pensiamo che il più appropriato sia proprio “tovaglietta”. Con questo nome si evitano altre possibili denominazioni inappropriate quali “strofinaccio” (solo occasionalmente si usa per asciugare e pulire), “canovaccio” (il tessuto è più raffinato di quello di sola canapa) o “cencio” (non è uno straccio). Chiamandolo “tovaglietta” gli si rende giustizia riconoscendogli pure una precedenza storica rispetto alle tovagliette americane oggi molto di moda: si sappia che abbiamo importato una “novità” che avevamo già da qualche secolo!

Precisazione finale per quelli che sono rimasti perplessi quando abbiamo scritto della spare. Sì, la spare è il cercine, la ciambella di tessuto che si vede far da cuscinetto tra il capo e la conca delle signore in abiti tradizionali. In realtà, un tempo lo usavano tutti quelli, anche uomini, che trovavano comodo trasportare pesi sul capo. Ebbene, nella nostra zona è accaduto che lo strofinaccio sia diventato, come detto, mappine e quindi ha lasciato la denominazione di spare solo per l’uso specifico come cercine.

Ultimo aggiornamento ( 30 Aprile 2018)