È tradizione da tempi immemorabili che la cena della Vigilia di Natale preveda nel menù la presenza fissa di “lu baccalane ‘nchi la ‘mpane” e la cosa non mi è mai dispiaciuta.

La Vigilia scorsa, però, la cena a base di pesce è saltata a causa della concomitanza con la giornata domenicale e quindi sono rimasto con la voglia. Da qualche settimana ho cominciato a buttare lì, in casa, l’idea di un recupero in occasione del prossimo Venerdì Santo, anch’esso giorno di digiuno e astinenza che prevede, comunque, un pasto frugale.

Ne ho parlato in varie occasioni, in casa e a la Cantine, in modo da manifestare questo mio forte desiderio e forse riuscirò nell’intento. Ma non era esattamente di questo che voleva parlarvi, piuttosto di quanto è accaduto in queste ultime settimane dopo che Claudio, ragazzo sveglio, figlio di un cugino, ascoltando il mio auspicio ha ingenuamente chiesto: “Ma che ha di speciale ‘stu baccalane ‘mpanate rispetto ai bastoncini di merluzzo?”.

Il povero ragazzo è stato trattato come un bestemmiatore in chiesa.

Baccalane 'nchi la 'mpane

Solo io ho avuto un po' di comprensione e l’ho portato via per spiegargli che “lu baccalane ‘nchi la ‘mpane” non ha nulla a che vedere con il merluzzo panato. Il pesce è lo stesso, la denominazione simile ma il risultato... Be’, non stiamo a spiegarlo agli abruzzesi.

Quello che dobbiamo riferire è, però, la successiva domanda sul perché le due preparazioni si chiamassero in modo molto simile, fatto che lo aveva indotto in errore. A questo punto ho dovuto desistere e ho approfittato della faccenda per prendere le difese di Claudio.

Sono tornato tra gli ospiti della Cantine e ho girato a loro la domanda. Sguardi persi e tra questi, sorprendentemente, anche quello di lu nutare Firrare! Da quel momento donn’Arnalde, lu nutare, non si è data pace finché non è arrivato a sciogliere il mistero. Sabato scorso ci ha riferito l’inatteso risultato che voglio ora condividere con voi.

La ‘mpane non indicava originariamente la pastella che ricopre il baccalà o anche, eventualmente, altri tipi di pesce, di ortaggi o fiori di zucca. No, perché era il termine con il quale gli abruzzesi chiamavano il lievito; infatti, esso trasformava l’impasto di farina e acqua “in pane”.

Di regola il pesce viene fritto dopo averlo infarinato e la farina si impregna comunque dell’acqua rimasta in superficie. Quando, invece, in superficie abbiamo farina, acqua e lievito provenienti da apposita pastella, ecco che abbiamo la ‘mpane e quindi la denominazione “’nchi la ‘mpane” sottolinea che il baccalà è all’interno di una pastella lievitata (farina, acqua e lievito di birra).

Insomma, dal lievito il termine è passato a indicare la pastella che, però, deve essere caratterizzata dal lievito, quindi “lu baccalane ‘nchi la ‘mpane” in italiano dovrebbe diventare “baccalà con pastella lievitata”.

Di tutta la faccenda una cosa ci dà fastidio, a noi di la Cantine: molti di quelli a cui abbiamo raccontato questa storia in anteprima hanno esclamato “Ma è il fritto alla romana!”. Questa reazione ha suscitato le ire della nostra amica Assuntina (‘Ssuntine di lu Ciardine), cuoca provetta di specialità tradizionali. Ebbene sì, si tratta probabilmente di un altro scippo che si aggiunge ai tanti altri perpetrati dalla cucina romana a quella abruzzese. Bisognerà riparlarne.

La foto che vedete è quella del nostro baccalà preparato da Lady Erbapepe. La sua ricetta sul web ha ottenuto l’approvazione della nostra Assuntina.

Ultimo aggiornamento ( 25 Novembre 2019)