/ʃʃambèrġë/ s f – giamberga

"Che fa ca ji annascunne le friselle / sutte a ‘stù sciambrechine tralucente / [...] ?". Questo si chiedeva Cicche de Sbrascente, calzolaio e suonatore di trombone di accompagnamento proprio nel componimento "Ta-pù - Lu trumbone d’accumpagnamente", quello che dà il nome alla raccolta più famosa delle opere di Modesto Della Porta. Dal contesto è facile intuire cosa possa essere nu sciambrichine. Emidio Vitacolonna nel suo Glossario lo spiega insieme ad un'altro termine molto simile, sciambrecotte, rendendo quindi evidente che non si tratta solamente di un modo di dire, di un nome di fantasia dato al curioso capo usato come divisa dai suonatori di banda dell'epoca.

Infatti, entrambi i termini, ormai desueti, derivano da sciamberghe, una giacca particolare di cui rappresentano rispettivamente la versione più leggera ed elegante e quella più pesante e coprente.

La parola dialettale sciamberghe corrisponde a "giamberga", termine accolto in alcuni vocabolari ma solo con il marchio di parola dialettale. Già, perché in varie forme esso compare in tantissimi dialetti di quello che era il Regno di Napoli ma, non essendo usato in Toscana, ha difficoltà ad essere riconosciuto come parola italiana a tutti gli effetti.

Ma lasciamo queste beghe pedantesche per narrare come sia nata la nostra sciamberghe.

Tutto iniziò nel XVII secolo quando, nella guerra dei trent'anni tra la Francia e gli Asburgo, alcuni reparti indossavano un giubbetto particolare con abbottonatura alta sul petto e una coda divisa in due falde per facilitare la cavalcatura.

Tra questi reparti c'erano quelli spagnoli che operavano in Fiandra agli ordini del conte belga Jean de Marsin (1601-1673). A quel tipo di giubbetto si ispirarono i sarti dell'epoca per una versione di uso civile e molto elegante che definirono, appunto, "marsina". In tempi successivi, da quel capo, derivarono la redingote, la finanziera, lo stiffelius e anche il frac.

Nello stesso periodo bellico alcuni reparti francesi, con un giubbetto molto simile, occuparono la Catalogna al seguito del generale Charles de Schömberg o Schonberg (1601-1656), duca d'Halluin, nominato vicerè di Catalogna nel 1648. A questo giubbetto si ispirarono per l'uniforme della Guardia Reale all'epoca in cui Carlo II succedette al trono di Spagna (1665) e la giacca veniva chiamata "casaca chamberga". Detto che Carlo II era anche re di Napoli e di Sicilia, si capisce come nel meridione d'Italia conoscessero bene la Guardia Reale spagnola e fu inevitabile che una giacca di foggia simile venisse chiamata "giamberga".

Da notare che la sciamberghe è esattamente quella che a Napoli viene detta "sciammèria" e nella smorfia corrisponde al numero 64!

Alcuni, poi, ricorderanno una gustosa scena del film "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi" in cui i due protagonisti discutono sull'abbigliamento da indossare al matrimonio dei loro figli. Quando Fabrizi sta valutando l'opportunità di acquistare un tight, Totò lo incalza: «Noi a Napoli diciamo la sciammèria. Ragioniere, lei si deve fare una bella sciammèria!». La replica di Fabrizi: «Io me la farei volentieri ma poi non vorrei che mia moglie poi dice spendi troppo...» suscita una particolare ilarità nel pubblico napoletano che conosce bene l'altro significato di sciammèria, quello con cui è più noto in tempi recenti.

Essì, essa sta ad indicare anche "rapporto sessuale". Ma non meravigliamoci troppo: nel dialetto guardiese, fino a qualche tempo fa, la stessa cosa veniva chiamata giacchette!

Ultimo aggiornamento ( 13 Giugno 2013)