Il 25 febbraio 1799 le truppe giacobine francesi, guidate dal generale Coutard e supportate da bande di sciacalli di centri vicini, entrarono in Guardiagrele procedendo al massacro di parecchie centinaia di nostri concittadini e al saccheggio di tutto quanto trovarono di sia pur minimo valore. Si trattò del più alto contributo di sangue e della più meticolosa spoliazione subiti dalla nostra città nel corso di eventi bellici che la storia locale registri.

Il ricordo degli eventi, dopo oltre due secoli, sopravvive più che altro grazie alle memorie tramandate oralmente di generazione in generazione. Una strage che in molti nostri concittadini trova il naturale umano orrore frenato da riserve legate alle motivazioni dello scempio. Questa colpevole riluttanza si collega, infatti, alle alte motivazioni ideali degli assalitori, che però dobbiamo ritenere quantomeno discutibili se i nostri progenitori decisero di opporsi in armi a chi affermava di portare avanti istanze di libertà e uguaglianza (tralasciamo, provvisoriamente, la fratellanza). Tanto più se si classifica come manifestazione di palese stoltezza la difesa di valori patri sotto un regime, quello borbonico, anni dopo sconfitto militarmente tra l’esecrazione generale e un pubblico sbeffeggiamento che dura fino ai giorni nostri.

Le commemorazioni passate di quella tragedia hanno assunto una qualche rilevanza solamente in occasione delle due ricorrenze centenarie di cui restano altrettante lapidi reticenti per l’assenza di qualsiasi chiaro riferimento al contesto bellico dei fatti. Non è da escludere che questa riluttanza sia dipesa dal fatto che entrambi gli anniversari, purtroppo, sono caduti in frangenti storici e politici dissonanti con le “pretese” di quegli stolti renitenti ad aperture verso le “magnifiche sorti e progressive”. Nel primo centenario lo Stato unitario si era da pochi anni formato per opera di chi aveva sconfitto l’esecrato regime ed aveva in corso pesanti azioni repressive contro le forti turbolenze politiche del momento. Infatti, la lapide che si conserva presso il nostro cimitero comunale porta la data di alcuni mesi dopo l’effettiva ricorrenza. Nel secondo anniversario centenario l’orientamento politico del governo nazionale e dell’amministrazione locale era tra i più vicini alle istanze di quei sedicenti liberatori di due secoli prima. La lapide apposta all’inizio di via Orientale, luogo simbolo del massacro, stigmatizza genericamente la violenza degli eventi senza indicare le parti in campo e, tantomeno, le responsabilità.

A tutto questo va aggiunto un incomprensibile giustificazionismo da parte di chi ritiene che quella resistenza non era motivata dalla difesa dei valori patri plurisecolari, bensì dalla difesa delle “pretese di signorotti locali” in un contenzioso fondiario con centri vicini (motivazioni all’opposto certamente presenti in una parte degli sciacalli al seguito dei giacobini d’oltralpe). E potrebbe mai questo giustificare la strage e il saccheggio?

Senza una chiara esposizione di fatti ormai indiscutibili non si potrà ricordare degnamente quanti si immolarono nella difesa dei propri valori civili e anche religiosi. Eroici “stolti” che avrebbero potuto facilmente preservare vita e patrimonio accettando una semplice e codarda resa, ma si opposero in armi venendo sconfitti solo attraverso il tradimento.

 

Ultimo aggiornamento ( 25 Febbraio 2025)