Tutti diamo per scontata la grandezza di s. Giuseppe, ma forse solo perché siamo influenzati dalla ricorrenza del suo nome nell’identificazione di persone o di luoghi. Ci basiamo sulle conseguenze ma siamo in difficoltà con le cause.
Nei Vangeli lo si definisce «uomo buono» senza riportare alcuna sua parola. Le azioni descritte sono tutte a tutela della sua famiglia, una sposa adolescente e poi un figlio che gli procurava soprattutto grattacapi; quel pargolo che sparì per alcuni giorni per andare a discutere con i sacerdoti al tempio e, quando vide i genitori che l’avevano affannosamente cercato, li rimproverò quasi, dicendo che le loro preoccupazioni erano inutili in quanto aveva da seguire gli affari riguardanti il suo «vero» padre.
Eppure stiamo parlando del più grande Patriarca pre-cristiano, l’ultimo, più grande dello stesso Abramo che, almeno, ebbe la soddisfazione di vedere il compimento della promessa divina a riconoscimento della sua fede. Invece il «povero» Giuseppe si ritrovò la vita sconvolta da una serie di sogni a cui prestò una fede immensa.
A causa di un sogno accettò di vivere castamente accanto alla fidanzata incinta per motivi poco comprensibili. Fu un sogno a suggerirgli di emigrare in Egitto con la sua famiglia e un altro sogno a spingerlo verso il ritorno in Galilea. Poi non se ne sa più molto e infine scompare dai Vangeli prima che quel figlio inizi la sua grande missione terrena.
Ebbene, quella sua immensa fede ha fatto sì che gli fosse riservato un posto di rilievo assoluto in Paradiso. La tradizione asserisce che nessuna grazia viene rifiutata se trova l’intercessione di s. Giuseppe. Addirittura una leggenda vuole che sia riuscito a far entrare in Paradiso un manigoldo di prim’ordine che era stato respinto da san Pietro con l’avallo di Dio Padre. Tuttavia, il birbante si era sempre dimostrato suo grande devoto e il santo non lo abbandonò in quel frangente: ottenne il lasciapassare minacciando di abbandonare anch’egli quel sacro luogo portandosi dietro la Moglie, secondo le norme matrimoniali (ovviamente senza il Figlio), e una folta schiera di angeli e santi suoi amici.
Come detto, la sua figura stentò a farsi notare nell’era cristiana. Solo in epoca medievale si cominciò a tributargli i dovuti onori e poi, passo dopo passo, con il Concilio di Trento la sua festa fu estesa a tutto il mondo cattolico fino a quando, nel 1870 Pio IX gli riconobbe il titolo di «Patrono della Chiesa Universale» (di cui la sposa Maria è “Madre”).
Ci sembra chiaro, alla fine di questi discorsi, che s. Giuseppe non deve essere considerato semplicemente come terza figurina del presepe! È ben altro, nonostante i suoi reiterati silenzi che l’hanno trattenuto anche dal lamentarsi di quanto vecchio viene (immotivatamente) raffigurato.
Grandissimo santo, patrono dei falegnami (per estensione, anche degli artigiani e dei lavoratori in generale) e degli emigrati, patrono nella buona morte perché un testo apocrifo narra che durante il suo transito (giorno natale in Cielo) ebbe il Figlio ad assisterlo al capezzale.
Un cero per il santo
A Guardiagrele esiste una parrocchia, quella di Comino ai Raselli, intitolata a s. Giuseppe nella sua qualifica di artigiano. Anche se le preghiere sono consigliabili in qualunque luogo, vogliamo ricordare che quel luogo di culto deve essere tenuto presente per il 1° di maggio, giorno della memoria facoltativa associata alla festa civile.
Per rendere omaggio a s. Giuseppe come sposo della Vergine Maria possiamo comodamente recarci alla cappella che fu dell’Istituto S. Giuseppe, luogo di teneri ricordi infantili per i guardiesi di molte generazioni che frequentarono la scuola di li mòneche (Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino).
La struttura è da un po’ di anni diventata «Palazzo dell’Artigianato» e affidata all’Ente Mostra dell’Artigianato Artistico Abruzzese, ma ovviamente nella ricorrenza della festa del Santo la cappella viene resa disponibile ai fedeli (e ai nostalgici).
Ultimo aggiornamento ( 19 Marzo 2025)