Nacque nel 1538 ad Arona, sul Lago Maggiore, figlio di un conte in una famiglia di banchieri. Lo zio materno, Giovanni Angelo della famiglia patrizia milanese dei Medici, forse imparentata con i Medici fiorentini, divenne papa con il nome di Pio IV nel 1559.

Carlo, avendo un fratello maggiore, era stato destinato alla carriera ecclesiastica che iniziò con tonsura e abito già all’età di dodici anni. A sedici si iscrisse all’Università di Pavia dove si laureò in utroque iure (diritto civile e diritto canonico) nel 1559, poche settimane prima dell’ascesa al soglio papale dello zio.

Come consuetudine dell’epoca, il nuovo papa Pio IV si circondò di collaboratori scelti nell’ambito famigliare e il giovanissimo Carlo, che un anno prima aveva dovuto prendere in mano l’amministrazione dei beni di famiglia a causa della morte del padre, poteva tornare molto utile. Venne chiamato a Roma con la nomina a cardinale diacono e gli furono assegnati compiti di grande responsabilità amministrativa. Come «cardinale nepote» godeva di molti privilegi riuscendo a coltivare le sue passioni per la musica, la caccia e gli scacchi che praticava senza mai allontanarsi da una condotta integerrima e dalla prosecuzione negli studi.

Fu tra i maggiori fautori della riapertura del Concilio di Trento che, in effetti, avvenne nel 1562 ma, purtroppo, pochi mesi dopo fu colpito dalla scomparsa del fratello maggiore Federico che lo aveva accompagnato nella sua esperienza romana ricoprendo importanti cariche militari. Essendo il fratello morto senza eredi, secondo gli usi, Carlo, secondo nella linea ereditaria, avrebbe dovuto farsi carico delle responsabilità di famiglia assicurandosi una discendenza. In effetti non ci sarebbero stati problemi, non essendo ancora stato ordinato sacerdote.

Carlo Borromeo si comportò diversamente. Iniziò un’austera vita da asceta che culmino nel 1563 con l’ordinazione sacerdotale.

Il suo cambiamento destò sospetti negli ambienti romani tanto da indurlo al ritorno a Milano nonostante il profondo legame d’amicizia stabilito con san Filippo Neri di cui sosteneva convintamente l’opera.

Carlo ebbe la nomina ad arcivescovo di Milano ma dovette attendere più di un anno per trasferirsi perché impegnato come capo della commissione che curò l’applicazione dei decreti del Concilio appena concluso.

Arrivato nel capoluogo lombardo, fu costretto a rientrare a Roma dopo poche settimane a causa della grave malattia che aveva colpito lo zio papa. Il pontefice concluse la sua vita terrena dopo pochi giorni, il 9 dicembre 1565.

Il conclave per la successione si aprì alla fine dello stesso mese e il Borromeo fu decisivo per l’elezione a pontefice del cardinale Ghisleri, austero domenicano. Prendendo il nome di Pio V, fu il più efficace attuatore delle risoluzioni conciliari principalmente attraverso la pubblicazione del Catechismo romano e la riforma liturgica che divenne unificata. Pio V fu anche il promotore della Lega Santa che fermò l’espansione ottomana a Lepanto.

Essendo stata approvata durante il concilio una norma che imponeva ai vescovi la residenza stabile in diocesi, Carlo Borromeo si appoggiò ad essa per declinare le continue richieste di rinunciare al ritorno a Milano. In questa città il cardinale riuscì finalmente a fare il definitivo ingresso nel 1566.

Come prima cosa sistemò la sua situazione personale vendendo tutti i beni e distribuendone ai poveri il ricavato. Rinunciò anche a quasi tutte le prebende e i privilegi previsti per la sua carica.

Subito dopo mise mano alla riforma della Curia e alla riorganizzazione della diocesi, abbandonata da decenni con problemi sociali molto seri.

Si preoccupò fattivamente della preparazione dei presbiteri creando diverse istituzioni per approfondire e discutere i temi legati alla loro missione. In linea con le risultanze del concilio fu il primo a istituire i seminari per la formazione del clero.

Per i laici fondò l’Istituto Borromeo a Pavia e l’Università di Brera a Milano.

Intervenne anche nei confronti di conventi allontanatisi dall’osservanza delle regole e questo lo portò, in particolare, allo scontro con gli Umiliati, ormai immersi in un lusso sfrenato. Uno di loro arrivò addirittura ad attentare alla vita del cardinale sparandogli un colpo di archibugio alla schiena. Il proiettile rimbalzò lasciandogli solo un livido. L’ordine degli Umiliati fu soppresso.

Visitava regolarmente le parrocchie informandosi dettagliatamente sulle situazioni locali.

Richiedeva sempre molta cura nella liturgia e la sua preparazione musicale lo portava a raccomandare una scelta accurata dei brani da eseguire in chiesa per evitare di ascoltare musica profana o comunque poco consona ai riti.

In modo analogo riservava attenzione all’armonia dell’architettura degli edifici sacri e all’adeguatezza degli arredi.

Per i poveri istituì ospedali e ospizi, Monti di Pietà e il patrocinio gratuito.

Durante la peste del 1576 fu l’unica autorità a non abbandonare la città assicurando il suo sostegno morale e materiale alla popolazione.

Passata l’epidemia, come atto di espiazione, si condannò ad alimentarsi una sola volta al giorno con pane e pochi legumi. Ciò nonostante, conservò la sua imponente figura, già naturalmente molto più alta della media del tempo.

Negli ultimi giorni di ottobre del 1584 fu colpito da una grave febbre terzana che lo condusse alla morte il 3 novembre. Essendo le nove di sera, ora dopo il tramonto, secondo le regole dell’epoca, la sua memoria liturgica è attribuita al giorno successivo.

Un cero per il Santo

Molti ricordano san Carlo Borromeo per la gigantesca statua detta popolarmente «Sancarlone», che, secondo l’idea del cardinale Federigo Borromeo (proprio quello citato nei Promessi Sposi), cugino del santo, doveva concludere il percorso di un Sacro Monte dedicato a s. Carlo.

L’opera, realizzata in rame, è alta quasi 24m e poggia su di un piedistallo di 11. È collocata in una collina sopra Arona, a dominare il lago Maggiore, ma non occorre arrivare fin là per rendere omaggio a questo grande santo della tradizione cattolica. Molte chiese ne conservano, infatti, l’immagine che, tuttavia, in tanti non riconoscono più perché quasi sempre priva di iscrizioni, ritenute, forse, inutili per un santo così importante e riconoscibile.

In effetti, se da qualche parte vedete l’immagine di santo in abito cardinalizio, con una figura piuttosto imponente per l’altezza e la robustezza, passate subito a osservare il volto. Se ha le guance incavate con barba scura appena spuntata dietro un importante naso adunco, allora è indubbiamente lui, san Carlo Borromeo!

Certamente non è comune veder rappresentato un santo con lineamenti del viso poco aggraziati eppure questi sono i suoi tratti distintivi. Difficile fare diversamente perché il santo, in vita, era molto conosciuto dal popolo, anche personalmente, e negli anni immediatamente successivi alla sua canonizzazione (avvenuta a soli 26 anni dalla morte) molti erano i testimoni oculari viventi.

Tornando a noi, per rendere omaggio al santo, non possiamo che indicare l’altare a lui dedicato all’interno del Duomo guardiese di Santa Maria Maggiore, sul lato destro dell’aula. Troverete lì la sua immagine, forse non casualmente nell’altare affiancato a quello dedicato a san Filippo Neri, suo carissimo amico al tempo della permanenza a Roma.

Ultimo aggiornamento ( 11 Novembre 2024)