Come per l’altra vigilia dell’Immacolata Concezione, questo giorno di vigilia del Natale va classificato tra le ricorrenze popolari perché i suoi aspetti religiosi, pur importanti, sono sovrastati da pratiche tradizionali che, a uno sguardo non distratto, appaiono difficilmente inquadrabili tra le celebrazioni per la solennità ricordata nel giorno successivo.

Sono ancora in tanti ad affermare che in questo giorno “fanne Viggilie” (digiunano), ma è quasi impossibile trovare chi riesca a giustificare questo atto penitenziale con motivazioni che vanno al di là di un «perché è tradizione». In molti casi si tratta addirittura di persone poco avvezze alle pratiche religiose.

Considerato il radicamento di questa tradizione nel sentimento della popolazione guardiese, proviamo a identificare il percorso lungo il quale questa espressione devozionale è arrivata ai giorni nostri con le modalità che conosciamo.

Precedentemente al Concilio Vaticano II, il Catechismo di S. Pio X prescriveva il digiuno e l’astinenza dalle carni in giorni che comprendevano le vigilie di tutte le solennità previste nel calendario liturgico. Successivamente i giorni di digiuno e astinenza sono stati ridotti al Mercoledì delle Ceneri e al Venerdì Santo. Sono state escluse, in particolare, tutte le vigilie delle solennità, pur riconoscendo, però, come pratica lodevole l’osservanza delle vecchie regole.

Potremmo supporre, allora, che siano in tanti a voler perpetuare la tradizione relativamente alle sole due vigilie in questione, quelle dell’Immacolata e del Natale. Ma non sembra essere così perché: come possono essere ritenute proponibili le modalità di svolgimento, cosiddette tradizionali, a fronte di quanto richiesto, non tanto dalle norme attuali, bensì di quelle dei secoli passati?

In effetti, nel corso del tempo, le modalità attuative del digiuno ecclesiastico non sono cambiate di molto.

Sin dai primi secoli della Chiesa, per eredità giudaica, nel giorno del digiuno era concesso un pasto normale che nei primi secoli doveva avvenire dopo il tramonto. Col passare dei secoli l’ora del pasto venne progressivamente anticipata e nei primi secoli del secondo millennio cominciò ad affermarsi l’orario del mezzogiorno, come indicato nelle norme attuali.

Con lo spostamento si aggiunsero le concessioni di un frugalissimo spuntino e poi di due, come nelle norme attuali. Il tutto, sempre, in astinenza dalle carni.

Se ci fermiamo a quanto appena riportato, potremmo dire che sostanzialmente la pratica attuale, che prevede, in astinenza dalla carne, uno o due spuntini nel corso del giorno e, infine, un pasto serale completo, dovrebbe rientrare tra quelle lodevoli per ogni cristiano.

Tuttavia, in troppi casi, non è così perché si dimentica un’importante prescrizione da osservare anche per il pasto normale che rientra nel regime di astinenza:

  • La legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi.

Considerando le pietanze che solitamente compaiono nei menù di Vigilia, è da sfrontati sostenere che la prescrizione dell’astinenza sia rispettata, a partire dal costo di alcuni ingredienti ricercati (pesci, molluschi e crostacei) e proseguendo con bevande alcoliche e superalcoliche fino a goduriose leccornie per dessert.

Per rispettare le norme, considerato che anche baccalà e capitone sono ormai cibi pregiati, dovremmo rimanere a livello di formaggi, fedelini al tonno e fritto di paranza con vino e birra comuni e dolcetti fatti in casa. Forse così ci si può stare, ma chi riesce a starci?

E pensare che questo cenone quasi abusivo (consumato quando la nascita del Bambino è stato pre-annunciato ma non proclamato) condiziona i pasti per i giorni a seguire: dopo la fatica fisica della vigilia, torna estremamente gradito un pranzo natalizio gustoso ma meno impegnativo (“Nu belle brode di cardone”) cui potrà fare seguito un pranzo di Santo Stefano di compensazione (timballo o cannelloni della tradizione). Il tutto inframmezzato da appuntamenti gastronomici con specialità che sovente si valorizzano nella riproposizione (“ariscucinate” o “‘riscallate pi fàreje fa’ la cucchjitella crichilugne”).

In definitiva, chiarito che i cenoni della vigilia, come comunemente intesi, si basano su di un presupposto non più valido, l’attesa dell’evento può essere trascorsa in allegria, anche confrontandosi con cotechini, carne sotto il coppo e arrosticini. Non ci sono obblighi di digiuno e astinenza.

Se vogliamo tener conto della tradizione, evitiamo gli eccessi in quantità e qualità. Il giorno della festa avremo modo di toglierci qualsiasi sfizio.

Ad ogni modo, per queste occasioni, non dimentichiamo quanto affermato dall’apostolo Paolo: «Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio» (Rm 14,6). E questa dovrebbe essere la vera “divuzione”.

Ultimo aggiornamento ( 08 Gennaio 2025)