Metà gennaio è già andata, ma a scandire i periodi invernali, dopo l’Epifania, troviamo il giorno in cui si ricorda sant’Antonio abate, detto anche il Grande.
Questo santo era egiziano e visse per oltre 100 anni tra il III e il IV secolo.
Grandissimo asceta, decise di andare a vivere da eremita nel deserto d’Egitto dove fu maestro di anacoreti. Per questo motivo ebbe il titolo di "abate" (padre) senza avere una vera abazia.
Nella sua vita solitaria doveva sopportare continue tentazioni da parte del demonio con il quale spesso arrivava ad ingaggiare furibonde lotte corpo a corpo (santo “demonomaco”).
Le sue tentazioni sono divenute proverbiali e sono rappresentate in molte opere pittoriche. Forse però la memoria più significativa e, diciamolo pure, più simpatica, è nella canzone popolare della tradizione abruzzese, quella con il ritornello “Sant’Antonie, sant’Antonie / lu nemice de lu demonie”. In essa si raccontano diversi scherzi che il santo era costretto a subire con “santa pazienza”:
“Sant’Antonie a lu deserte
se cuciave le tajuline,
Satanasse pe’ despette
je frechette la furcine.
Sant’Antonie nun s’encagne,
‘nghe le mane se li magne.”
Dalle nostre parti il santo è identificato semplicemente come “sant’Antune” e la sua ricorrenza, in pratica, dà l’avvio al periodo di Carnevale:
Pasqua Bifanije tutte li feste porte vije;
sant’Antune poje ci pense e li feste aricumenze.
Questo soprattutto perché nel periodo si può approfittare delle ultime gelate in fase di luna calante per procedere alla macellazione del maiale allevato in casa. La disponibilità di carne è garantita certamente fino alla Quaresima che un tempo era per intero periodo di astinenza.
Sarebbe difficile convincere i suini che il grande santo eremita del deserto egiziano è l’indiscusso protettore degli animali domestici e, in effetti, tra il santo e il maiale i rapporti sono sempre stati abbastanza controversi.
Bone a sape’
Sant’Antonio e il maiale
Nell’Antico Testamento era fatto divieto agli ebrei di consumare carne suina. I maiali e, a maggior ragione, i cinghiali rientravano tra gli animali definiti “immondi”, forse soprattutto perché in area mediorientale il maiale costituiva un pericoloso concorrente alimentare. Anche se Gesù Cristo eliminò i divieti alimentari in generale, in area mediorientale, i cristiani continuavano a non vedere di buon occhio i suini. Per questa situazione la tradizione più antica, pur smentita da autorevoli studiosi contemporanei, voleva che il maiale rappresentasse l’essere immondo per eccellenza, il diavolo tentatore. Quindi, nei tempi più antichi quell’animale non era inteso come “l’amico di Sant’Antonio” ma rappresentava il suo arcinemico!
L’iconografia del Santo mostra il maiale addomesticato dopo una lunga serie di sconfitte e si è arrivati a pensare che fosse diventato un suo fedele amico (un compare). I buontemponi guardiesi si burlavano di un amico dicendogli “Sant’Antune s’à fatte cumpare ‘nchi nu porche e ji’ m’aji fatte cumpare ‘nchi tè!”).
Il cambiamento di rapporti con il maiale fu dovuto, principalmente, ad un’altra serie di eventi.
Le reliquie del santo arrivarono in Francia a seguito delle prime crociate e presso l’abbazia dove erano conservate cominciarono ad avvenire guarigioni straordinarie di affezioni della pelle. Quella più fastidiosa e diffusa era l’“herpes zoster”, tuttora chiamata “fuoco di sant’Antonio” e rappresentata con una fiamma accanto all’immagine del santo.
Nell’abazia si allevavano maiali sia per uso alimentare, sia per preparare un unguento da applicare nelle parti colpite dalle malattie epidermiche. Questi maiali vivevano, in effetti, liberi e rispettati, riconoscibili per una campanella appesa al collo o per un nastro. Le rappresentazioni cominciarono ad adeguarsi fino a che sant’Antune divenne addirittura il protettore degli animali domestici e da allevamento che vengono portati sul sagrato delle chiese per ricevere la benedizione nel giorno dedicato al Santo.
Sant’Antonio e le farchie
Non possiamo chiudere, però, senza ricordare la festa delle “farchie” che ogni anno ha luogo la vigilia della festa del Santo alla Fara Cipullare (Fara Filiorum Petri). La festa vuole ricordare quando nel 1799 il Santo fronteggiò in vesti da generale le truppe giacobine francesi che volevano prendere possesso del paese. Ironia della sorte: il santo le cui spoglie da secoli sono in Francia, si è opposto ai francesi (allora giacobini e anticlericali) incendiando gli alberi del bosco antistante, alberi che erano il simbolo della rivoluzione giacobina!
A Guardiagrele andò diversamente.
Un cero per il santo
Di una chiesa dedicata al Santo nel territorio guardiese si parla dai tempi più antichi. Faceva parte del complesso originario di edifici religiosi nell’area della collegiata di S. Maria Maggiore. Le importanti ristrutturazioni che hanno coinvolto l’area nel corso dei secoli hanno fatto sì che dagli inizi del XVIII secolo non si hanno più notizie neanche di cappelle dedicate a s. Antonio abate e dopo pochi anni è scomparso anche l’ultimo altare. Di tutto questo restano due immagini in pietra conservate nell’Antiquarium medievale comunale.
Tuttavia, per una pia devozione, ci si può recare nella cripta di s. Rocco, luogo di culto più prossimo all’antica collocazione della chiesa dedicata al Santo eremita. La statua del santo che regge una fiamma sulla mano destra è collocata in una nicchia nella navata destra.
Ultimo aggiornamento ( 16 Gennaio 2025)