Il Carnevale dei tempi moderni è un periodo di feste che è giunto fino a noi da antichità remote e civiltà scomparse. Celebrazioni rituali, quasi sempre sfrenate, spesso cruente e a volte orgiastiche, sono ricordate sin dall’epoca babilonese nel periodo che precede la primavera, a partire da dicembre.
Diverse sono state ovviamente le denominazioni utilizzate e di quella attuale, che è una delle più durevoli, paradossalmente non si conosce l’origine. Certo, se provate a fare un sondaggio otterrete quasi sempre risposte, a volte decise, altre volte articolate, ma nessuna di esse potrà essere definita certa. Non si tratta neanche di congetture perché troppo evidentemente forzate.
La chiesa cristiana si è sempre tenuta lontana dalle feste di Carnevale, salvo provvedere a definire la data in cui tutti i festeggiamenti devono avere termine: il Mercoledì delle Ceneri, giorno in cui ha inizio la Quaresima.
La tradizione laica, dal canto suo, ha avuto sempre ampia libertà nel definire il giorno di inizio del periodo carnascialesco. Questo ha portato a indicazioni diverse nel corso dei secoli e nei vari territori, sempre però tenendo come riferimento una ricorrenza religiosa significativa e ben nota. L’inizio è stato fissato in qualche caso addirittura a metà dicembre, in altri a Santo Stefano o nell’Ottava di Natale e poi ancora nel giorno dell’Epifania o in quello di sant’Antonio abate fino ad arrivare addirittura alla Candelora.
Per quanto ci riguarda riteniamo più logico un inizio in corrispondenza del termine del tempo di Natale, attualmente coincidente con la festa del Battesimo di Nostro Signore che si celebra la domenica successiva al giorno dell’Epifania.
Un tempo questa festa era inglobata nell’Epifania che era considerata l’estremo per il tempo di Natale e quindi tutte le feste si portava via. Da quel momento iniziava il periodo di Carnevale che, lasciando il passo al tempo preparatorio di Quaresima, sarebbe sfociato nelle festività pasquali del periodo di equinozio primaverile.
Il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, impone la fine di ogni festeggiamento nel giorno precedente, Martedì Grasso:
Carnivale valente: ugge la ciacce, dumane la lente.
Dipendendo dalla Pasqua di Resurrezione, l'ultimo di Carnevale può arrivare anche abbastanza presto, già al 3 di febbraio. Al suo approssimarsi le feste trasgressive comprensibilmente si intensificano e, purtroppo, motivi che nulla hanno a che vedere con la tradizione ma solo con opportunità di promozione turistica e di interessi economici ad essa collegati, stanno facendo sì che manifestazioni carnevalesche vengano artificialmente protratte fino alle soglie della Settimana Santa. Il fatto stesso certifica, di converso, l’accentuato disinteresse verso il Carnevale stesso e il suo significato.
Eppure sembra impossibile che ritualità millenarie siano così evidentemente scadute nel giro di qualche decennio.
A Guardiagrele il Carnevale si riduceva essenzialmente al Martedì Grasso, vigilia delle Ceneri, e fino alla prima metà del secolo scorso era molto diffusa la voglia di mascherarsi in quel giorno. C’era anche la possibilità di chiudere in bellezza la giornata partecipando al veglione organizzato nei locali del Palazzo Comunale. Modesto Della Porta ne ha dato una splendida rappresentazione nella sua opera “La Maschere”.
Nell’ultimo dopoguerra, nonostante le ristrettezze economiche (ma forse proprio per questo, essendo i festeggiamenti per il Carnevale a carattere decisamente popolare) si ricordano travestimenti famosi di personaggi locali molto noti, quali, ad esempio, Amedeo Iacovella (“di lu Rusce”) e Alfredo Capuzzi (“Taccarille”) che rappresentavano una genuina ed arguta satira sociale e politica. I bambini giravano con costumi quasi sempre fatti in casa: le damine, le fate, i cow-boy (detti “li bandite”) e gli indiani, gli Zorro e i moschettieri. Poi c’erano quelli costretti dai genitori a vestirsi da “pacchianelle”, efficace ma discutibile rappresentazione della maschera tradizionale abruzzese: una contadina abbigliata per la festa secondo i canoni più estremi del cattivo gusto.
I ragazzi più grandi si cimentavano anche in rappresentazioni di gruppo con divertenti funerali o processioni di improbabili santi.
Una manifestazione tipica della nostra tradizione più antica che impegnava soprattutto gli adulti delle nostre contrade era la “mascarate” di cui si ricorda il più famoso autore e protagonista: Cesare Verna (“Cisarine di Ciaranghe”). Una forma teatrale popolare che risale alla notte dei tempi.
Le cose sono poi rapidamente cambiate. Non più maschere ma orde di ragazzini che si divertivano a ricoprire i passanti con farina (non talco) per poi bagnarli con fucili ad acqua: l’impasto risultante era una vera e propria colla! Altri preferivano colpire soprattutto coetanee utilizzando clave di plastica, non sempre innocue. Ironia della storia verso i bulli ignoranti: non sapevano neanche di stare facendo una riproposta di uno dei rituali tipici degli antichissimi Lupercali!
Ancora qualche anno e poi quasi più nulla. Il compianto Raimondo Gallo così si esprimeva:
S’à morte Carnevale?
Na vote, a Carnevale, “Mezzunare”
le maschere vennè, de cartapeste.
De gente, travestite gna je pare,
le piazze s’arempiè; jere na feste.
Invece st’anne, nin s’à fatte njénte!
Forse lu fredde? Forse jè la crise?
O jè pe chi cumbatte, a stu mumente,
p’avè la libbertà e more accise?
O forse ca lu munne s’à cagnate,
e de pajècce ce ne sta paricchie?
Ca ugne jurne jè na mascarate?
Tu vù salvà la segge pe lu “sticchie”?
Cagne munture; e di’ “Ci ho ripensate!
Ma, dope, nen passà ‘nanze a li spicchie!
Ultimo aggiornamento ( 03 Marzo 2025)