Alla Cantine di la Croche dovevamo prima o poi affrontare il discorso delle cosiddette "Cantine" guardiesi.
Tutti noi di una certa età ce le ricordiamo perché fino a pochi anni fa il loro ruolo sociale rivestiva particolare importanza. Per i più giovani diciamo che esse svolgevano le attuali funzioni dei bar e dei ristoranti. Sì, qualche bar c'era anche allora, ma la loro clientela era di ceto piuttosto elevato: vi si consumavano caffè e liquori in un ambiente più elegante nel quale era importante mantenere un certo contegno. Per quanto riguarda i ristoranti, invece, a Guardiagrele hanno avuto sempre difficoltà e sopravvivevano solo quelli abbinati ad attività alberghiere.
La "cantina" era un’altra cosa. Vi si ritrovavano i ceti più popolari e con minori disponibilità economiche, quelli che non chiedevano altro che di trascorrere qualche ora, da soli o con amici, davanti ad un bicchiere di vino o di birra, magari giocando a carte. La clientela era esclusivamente maschile e i giovani erano praticamente banditi. Capitava raramente di vedere ai tavoli ragazzi non accompagnati. In quei casi l'esercente giudizioso serviva esclusivamente analcolici che teneva proprio per queste occasioni.
Fondamentalmente si trattava di osterie perché questa era l’attività che svolgevano normalmente, tutti i giorni, perché non c’erano ferie, e per tutta la giornata. Molte di esse aprivano prima delle 7 di mattina e chiudevano anche dopo le 23. Non stupisca l’apertura così mattutina: presso gli operai aveva una certa diffusione l’abitudine di iniziare la giornata con un bicchierino di vermouth o di marsala, rigorosamente all’uovo, e questi clienti non potevano andar perduti!
Molte di esse consentivano anche di consumare spuntini e merende fredde sotto forma di panini imbottiti preparati con due fette di pane riempite di mortadella o provolone.
In alcune cantine vi era poi l’uso di cucina e, nelle ore dei pasti, si trasformavano in trattorie. Qualcuna tra queste permetteva addirittura l’alloggio, diventando vera e propria locanda.
Facciamone intanto una rassegna prendendo a riferimento gli anni '60, il loro periodo d'oro, prima che iniziasse la loro decadenza fino alla definitiva scomparsa di fine secolo XX.
Elenchiamole secondo la loro ubicazione e limitiamoci al centro storico (le indicazioni virgolettate si riferiscono ai soprannomi con cui erano note).
Risalendo via Roma: “lu Bummare”, “Barracche”, Giannette e “Scarpavecchje”. Risalendo invece via Tripio: Adolfe, “Turdune” e “Chicchirichì”. C'erano poi, “Ciaccione” in via Modesto Della Porta, “lu Lupe” in vicolo Madonna del Carmine, “la Baranelle” in largo Casaleno.
Le “cantine” di via Roma e via Tripio erano anche trattorie. Inoltre, quella di “Turdune”, gestita dalla famiglia di Niculine detto “Mapane”, era anche locanda. Il locale era lo stesso dell’attuale “Cantina del Tripio”, ristorante tipico gestito dalla famiglia del nipote omonimo. Locanda era stata fino a qualche anno prima anche la “Cantine di Giannette”, al Capocroce, e molti ricorderanno la scritta che fino a qualche anno fa ancora appariva, seppur sbiadita, sulla facciata con la definizione di “Albergo”, forse con la denominazione di “Moderno”.
Curiosa coincidenza, queste due trattorie erano note come quelle in cui, con una certa regolarità, la sera si potevano ascoltare prolungate esibizioni canore da parte degli avventori. Qualche burlone azzardava che il nome di "cantina" derivasse proprio da questo tipo di attività!
C’è da dire che il servizio di trattoria, in molti di quei locali che abbiamo classificato come tali, risultava piuttosto occasionale e di conseguenza, spesso, improvvisato. Una buona regolarità di servizio si riscontrava nelle “cantine” di “lu Bummare”, di “Barracche” e di “Turdune”. Vi si poteva arrivare a qualsiasi ora e un primo e un secondo, fra due o tre opzioni, si riusciva a rimediarli.
Erano piatti semplici e, ovviamente, genuini in termini assoluti: pasta al sugo di carne o “a sugo finto” oltre che “aglio e olio” o col lardo fritto; per secondi, spezzatini di carne o di interiora (detti “di fegato”), salsicce o fettine in padella o alla griglia, pesce fritto (più che altro alici) e baccalà, squisito quello alla griglia.
Per finire, non si può non parlare di due piatti che tuttora sono nella memoria di tanti, non solo guardiesi: la trippe di lu Bummare e lu brode di za Amalie (di Barracche).
Alla “Cantine di lu Bummare”, all’angolo con l’attuale largo Pignatari, si poteva gustare una trippa eccezionale, purtroppo non disponibile regolarmente perché la sua preparazione era piuttosto impegnativa, non per la cucina ma per la pulitura delle interiora. Li centipeje richiedevano molto olio di gomito per essere ridotte in condizioni accettabili per essere cucinate! Per questi motivi solo periodicamente, nelle occasioni o su prenotazione, si poteva gustare questa prelibatezza, non certo per mancanza di clientela o per difficoltà di approvvigionamento della materia prima (alla “cantina” era abbinata “lu macelle di lu Bummare”!). Capitava quindi che con lo strumento del passaparola gruppi di buongustai si ritrovassero alla “cantina” per non perdere l’occasione.
L’altro piatto rinomato che abbiamo menzionato era il brodo che za Amalie, moglie di Barracche, preparava nella sua “cantina” di via Roma, all’angolo del vicolo intitolato al marito proprio in ricordo del locale. Una tazza di questo brodo, per gusto ed economicità, era il ristoro tradizionale di quanti risalivano a piedi in paese, fossero essi contadini guardiesi o abitanti dei paesi vicini, dalla vicina San Martino, a Rapino, Pennapiedimonte, Palombaro, perfino da Pretoro, Roccamontepiano, Sant’Eusanio, Altino e Casoli.
Il brodo era preparato in grandi marmitte in cui ribollivano sapori vegetali e tagli di macelleria poco pregiati ma sapientemente selezionati. Anche in questo caso il fatto che za Amalie fosse di famiglia di macellai aveva la sua importanza. Il brodo veniva servito anche con pastina cotta di volta in volta ma più spesso con una fetta di pane affiancata alla tazza.
Ci sarebbero tante altre cose da dire sulle "cantine" ma rimandiamole ad altre occasioni. Chiudiamo la nostra descrizione con alcune curiosità.
Abbiamo detto che le “cantine” erano, a seconda dei casi, osterie, trattorie o locande. Oltre a questo erano, comunque, una rivendita al dettaglio, per uso familiare, di vino e bevande gassate, prodotti non disponibili nei negozi. Ma c’è ancora una particolarità.
Specialmente per la trippa, di difficile preparazione domestica, e per il brodo, che richiedeva un enorme numero di ingredienti per un risultato eccellente, accadeva che le famiglie, invece di andarli a gustare sul posto, soluzione ritenuta poco dignitosa per donne e ragazzi, andavano a comprarli per consumarli a casa propria. Arrivavano con la pentola per la trippa o con una bottiglia per il brodo per poi gustarsi quelle squisitezze tranquillamente tra le mura di casa.
Come ci suggerisce Gino Primavera, a Guardiagrele abbiamo forse inventato il “take-away” ante litteram!
Ultimo aggiornamento ( 22 Gennaio 2016)