Nel dialetto guardiese esistono alcuni numeri che hanno assunto in epoche diverse un particolare significato. Attualmente questi significati secondari, sempre, per qualche verso, divertenti, sono quasi scomparsi. Solo qualcuno resiste ancora a fatica.
Della lista fanno parte: 5, 10, 13, 23, 28, 31, 36 e 81. Nel seguito potrete trovare il loro significato secondario e, quando noto, il motivo di questi usi particolari.
Cinque
Termine desueto per indicare in gergo scherzoso i soldi.
Le banconote da cinque lire emesse dal Regno d’Italia, dapprima avevano un certo valore e quindi chi ne aveva tanti era da ritenersi benestante. Sempre con il valore di cinque lire sono state emesse fino alla fine dell’ultima guerra ma ormai avevano perso molto del loro valore. Ciò nonostante, fino a quell’epoca, qualcuno continuava ad usare l’espressione: “E scine, cullù tè li cinque!”.
Diece
Nei tempi andati si usava l’esclamazione “E diece!” per manifestare impazienza. Probabilmente si tratta di una derivazione dai giochi infantili in cui prima di iniziare una certa azione si richiedeva di contare fino a dieci. Usando l’espressione si fa capire che l’attesa è finita.
Trìdece
Questo numero è ancora usato da qualcuno nell’espressione “E trìdece!” per manifestare esasperazione di fronte a chi si ostina a ripetere le stesse cose.
L’origine di questo uso è legata ad una antica conta o gioco – di cui sembrano essersi perdute le tracce – in cui si utilizzavano i risultati fino a dodici. Se risultava tredici si rigiocava.
La stessa espressione ha una versione più ironica: “E trìdece ‘nchi lu galle!”. Nulla si sa di questo gallo, come pure nulla si sa dell’origine di “Sta a trìdece e nu quarte” per indicare che qualcuno è, diciamo così, “con la luna di traverso”.
Vintitrè
Si usa in dialetto, come in italiano, per indicare la posizione estremamente inclinata di un copricapo (lu cappelle a la vintitrè).
Questo modo di dire si riferisce al fatto che i braccianti inclinavano al massimo il copricapo quando il sole era prossimo al tramonto, ovvero alle ventitrè, un’ora prima del tramonto secondo l’antico modo di contare le ore del giorno.
Vintotte
Questo numero assume il significato di “mangiata”, spesso a sbafo.
A chi appariva appesantito da una ricca mangiata si usava chiedere, e qualcuno ancora lo fa: “Addo’ si jite a fa vintotte?”.
L’uso deriva da una irriverente parodia del segno di croce in cui la formula viene sostituita dai numeri 24, 25, 26, 27 e 28 (pronunciati in dialetto). Il 28 corrisponde all’amen finale che però veniva accompagnato da un gesto della mano, con le dita raccolte, che spinge verso l’interno della bocca.
Trentaseje
Sta ad indicare uno scherzo, generalmente di cattivo gusto o, per lo meno, spiacevole per la vittima. Non si conosce l’origine del suo uso.
Trintune
Lu trintune indica una spiacevole sorpresa per chi esercita un atto di forza pensando di avere gioco facile e invece è costretto ad una vergognosa ritirata. Una volta si diceva “Ji l’aji fatte di trintune!” per dire “L’ho respinto con perdite!” riferendosi ad un tentato atto di prepotenza. Oggigiorno si usa dire “Ci l’aji fatte da’ di musse!” ossia gli ho fatto uno sgambetto devastante.
Il modo di dire deriva da un tradizionale gioco di carte, detto proprio Trentuno, che si sviluppa come un Poker. Trentuno è il punto massimo difficilissimo da realizzare. A qualche giocatore con un buon punto che prende in mano il gioco e comincia ad alzare la posta può alla fine capitare di vedersi sbattere in faccia un trentuno che lo costringe ad una sconfitta generalmente accolta dagli sfottò di tutti gli altri giocatori.
Uttantune
Quando si dice che uno “jè nu uttantune” non ci si limita a dire che si tratta di una persona alta e robusta ma non corpulenta. Ci sono altri significati meno piacevoli che differenziano questa definizione da quelle, ad esempio, di sallicchjune e sagnune. Per capirci meglio vediamo di quale ottantuno stiamo parlando.
Si tratta del mortaio da 81 mm Brandt, un’arma concepita negli anni ’20 del secolo scorso e che tuttora costituisce uno standard come calibro e configurazione. Tutti quelli che hanno fatto il militare nell’epoca attorno alla seconda guerra mondiale ne hanno sentito parlare, anche nella sua versione prodotta in Italia, il Mortaio da 81 Mod. 35 prodotto dalla CEMSA (Costruzioni Elettro-Meccaniche di Saronno) con notevole successo commerciale.
La canna del mortaio italiano era lunga come l’altezza di una persona e pesava poco più di 50 kg. Per forma e dimensioni ben si adattava a sostituire definizioni piuttosto scurrili che non è il caso di stare a indicare.
Ultimo aggiornamento ( 31 Agosto 2016)