A cosa si riferiva il D'Annunzio con quei versi che da anni accompagnano il delizioso parrozzo prodotto da D'Amico?
Quale fu l'importanza della battaglia di cui si parla? Vediamo chi erano i contendenti e come si svolsero i fatti.
Quando si ha in mano la scatola del parrozzo di D’Amico, anche prima di aprirla, si resta incuriositi dai versi autografi del grande Vate nostro conterraneo:
“Dice Dante che là da Tagliacozzo,
ove senz’arme vinse il vecchio Alardo,
Curradino avrie vinto quel leccardo
se abbuto avessi usbergo di parrozzo”
Certamente era questa una delle occasioni in cui Gabriele d’Annunzio poetava per interessi molto materiali. In quell’estate del 1927 si firmava “parrozzano” sotto quei versi, per altro piuttosto ermetici, e si assicurava così una fornitura costante di quella estasiante specialità.
Per i curiosi raccontiamo sinteticamente ciò che sta dietro quei versi intriganti.
Il nostro Gabrielino (lo chiamiamo confidenzialmente così perché siamo colleghi ma solo come estimatori del parrozzo) fa riferimento ai versi danteschi del Canto XXVIII dell’Inferno in cui il poeta enciclopedico fiorentino ricorda le più cruente battaglie combattute nel meridione d’Italia. Tra queste quella combattuta
“[...] là da Tagliacozzo,
dove sanz'arme vinse il vecchio Alardo”.
La battaglia ebbe luogo nell’anno 1268 e anche se ricordata col toponimo di Tagliacozzo avvenne in effetti nel pianoro denominato Piani Palentini davanti a Scurcola Marsicana (la “battaglia di Scurcola” sarebbe sembrata poco seria?) in direzione est e sud-est.
Nella battaglia si fronteggiavano Corradino di Svevia di parte ghibellina e Carlo d’Angiò di parte guelfa.
Per inciso, Dante parteggiava per Corradino e questo fu uno dei motivi per cui non completamente a torto fu definito «ghibellin fuggiasco» nonostante fosse di estrazione guelfa.
I due poeti indicano come vincitore il «vecchio Alardo» ovvero Erardo di Valéry, consigliere di Carlo d’Angiò. Fu suo lo stratagemma che permise agli Angioini di avere la meglio nonostante l’inferiorità numerica.
L’astuto Erardo mandò in battaglia una buona parte delle truppe al comando di un suo collega travestito da Carlo d’Angiò. Le truppe di Corradino ebbero facilmente la meglio con il finto re, Enrico di Cousence, che perse la vita.
Quando i vincitori iniziarono i festeggiamenti, Erardo lanciò in battaglia le truppe di scorta, in maggioranza di cavalleria, e sbaragliò facilmente i ghibellini colti di sorpresa. Per la facilità di questa vittoria Dante scrive con amarezza che Alardo vinse senza armi. Da parte sua, il Vate aggiunge che Corradino avrebbe sconfitto quel ghiottone di Alardo se si fosse protetto col parrozzo: l’angioino non avrebbe osato colpirlo!
La battaglia cambiò le sorti di tutta l’Italia Meridionale che passò dal dominio imperiale degli Svevi (ormai «italiani») a quello angioino, schiettamente francese e abbastanza inviso ai sudditi. Infatti non durò molto.
Anche tutto questo è contenuto in un parrozzo.
Ultimo aggiornamento ( 17 Marzo 2020)