Come un biscotto della Lazzaroni può provocare un effetto proustiano sulla nostra mente e ravvivare ricordi dei cantastorie, artisti di strada ormai scomparsi che fino all’ultimo dopoguerra si esibivano anche Guardiagrele durante le feste.
Di loro non si ricorda più nessuno se non attraverso speciali percorsi che a volte possono attraversare un semplice biscotto da tè.
Accade anche che le connessioni neurali creino arabeschi cerebrali e allora mentre osservi un biscotto che accompagna un tè caldo si crea l’effetto proustiano della «madeleine».
Il biscotto è diverso: è un «limonello», specialità che possiamo considerare locale perché prodotta a Isola del Gran Sasso dalla Lazzaroni di Pretoro. Eppure guardando il biscotto ci sono tornati alla mente i cantastorie, sì, quegli affascinanti e popolari personaggi che si presentavano nelle nostre piazze a raccontarci storie mirabolanti, vere o verosimili che attraevano un pubblico non smaliziato di qualsiasi età. Si era bambini quando ci capitava di far parte di quel pubblico proprio a Guardiagrele. Negli anni successivi i cantastorie sparirono prima della nostra ingenuità, travolti dalle riviste illustrate e dalla televisione.
Gli ultimi che ricordiamo si sistemavano in piazza, sul lato settentrionale nel Duomo, con il pubblico che assisteva da presso in piedi, disposto a semicerchio. Raccontavano e cantavano le loro storie accompagnandosi con una chitarra o, più spesso, con una fisarmonica o un organetto. Le storie erano rappresentate in pannelli a riquadri dipinti in modo molto naÏf. Generalmente erano assistiti da una donna o un bambino che indicava in successione i riquadri.
Dopo una serie di richiami da imbonitore per radunare il pubblico lo spettacolo aveva finalmente inizio. Un sommario proclamato a gran voce precedeva una narrazione appassionata che si interrompeva per introdurre intermezzi cantati con enfasi solenne.
Si raccontavano storie truci, molto simili a quelle che oggi ci presentano i programmi televisivi pomeridiani e che fino a pochi anni fa riempivano molte riviste popolari. C’erano violenze famigliari che vedevano vittime donne e bambini, tragedie di emigranti morti in miniera, drammi con bambini rapiti e schiavizzati. Fatti ancor oggi piuttosto frequenti che però, per scarsità di mezzi di informazione e per l’elevato tasso d’analfabetismo, trovavano diffusione principale proprio attraverso i cantastorie. C’era anche qualche storia a lieto fine, ma queste erano narrate in modo più superficiale, al solo scopo di risollevare un po’ il morale dell’uditorio.
Gli ultimi cantastorie che abbiamo visto all’opera avevano ormai smesso di narrare le storie incredibili di personaggi realmente esistiti o di origine letteraria. Quei personaggi tratti dalla letteratura popolare («Lo cunto de li cunti», «Guerin Meschino» ecc.) o da altre storie vere o romanzate con protagonisti rimasti tuttora in qualche angolo della memoria popolare quali la «Regina Margot», la “Ginuveffe” o “Pitre di Bajalarde”. L’effetto proustiano del limonello, cui si accennava, riguarda proprio l’ultimo cantastorie che ricordiamo. Si trattava di un signore probabilmente originario dell’Italia settentrionale che aveva messo su uno spettacolino di genere vario, inframmezzando siparietti comici alla narrazione di vicende stupefacenti. Col viso rubizzo e un abito da circo fatto di lustrini intratteneva la folla accompagnandosi con una fisarmonica.
Di quello spettacolo, nella nostra memoria, è rimasta impressa una battuta che lì per lì, da ragazzini, trovammo abbastanza divertente ma che solo molti anni dopo capimmo a pieno. L’uomo, sottolineando le parole con la fisarmonica, si rivolse al pubblico che lo attorniava dicendo: «Mamme, volete che i vostri figli crescano bravi, ubbidienti e rispettosi? Allora dategli i biscotti Lazzaroni!». Ecco, il punto è che di questi biscotti, prodotti a Saronno, in Lombardia, nessuno aveva mai sentito parlare perché la loro distribuzione era limitata all’Italia del Nord e a qualche altra grande città. In quel periodo, pochi anni dopo la guerra, dalle nostre parti i biscotti erano leccornie a produzione casalinga o artigianale delle nostre famose pasticcerie e dei nostri abili fornai. Al massimo, per i più benestanti, i negozi proponevano le gallette tipo Oro Saiwa, quelle con la misteriosa scritta «petit-beurre». Insomma, la gente effettivamente sorrideva alla battuta perché in effetti l’epiteto di «lazzarone» era ampiamente diffuso e usato simpaticamente proprio verso i bambini. Per quanto ci riguardava, l’uomo avrebbe potuto richiamare fantasiosi «biscotti Birboni» o «Briganti» ottenendo lo stesso risultato. Solo quando eravamo abbastanza cresciuti siamo venuti a conoscenza del marchio Lazzaroni e ci è tornata in mente quella situazione di parecchi anni prima.
Chi avrebbe mai immaginato di ritrovare la storica Lazzaroni di Saronno a Pretoro, qui a due passi da casa?
Confessiamo che quell’antica battuta, allora solo parzialmente compresa, ha prodotto in noi un effetto proustiano che per i prodotti della Lazzaroni risulta molto più efficace di qualsiasi campagna pubblicitaria.
Ultimo aggiornamento ( 24 Novembre 2019)