Eh, sì. Questa volta parliamo di canne ma, intendiamoci bene, quelle delle «fratte». Oh, no! Accidenti! Non quelle che si fumano da «infrattati»! Come possiamo spiegarci?
Parliamo delle canne, quelle vere che rendono lussureggianti i margini delle strade e le rive dei fossi nel nostro territorio. Per molti sarà sorprendente scoprire quanto fossero un tempo utili nella vita comune, sia quella domestica che lavorativa.
Tempo fa ci imbattemmo in una notizia in cui eminenti studiosi avevano accertato la pericolosità delle canne nella circolazione stradale. Proseguimmo nella lettura per capire le basi dello studio sulla pericolosità di queste «fratte». Cantonata madornale: le canne in questione erano le altre. Tutta colpa dell’età perché crediamo che la maggioranza dei lettori, più giovani, non avrebbero affatto equivocato. Quanto è difficile, purtroppo, farsi capire ai giorni nostri.
In effetti, da molti anni, si sente parlare sempre più delle une e sempre meno delle altre, le canne domestiche o comuni («arundo donax»), e così ci siamo divertiti a ricordare quanto erano presenti queste canne nelle nostre case di città.
Nelle case dei contadini l’impiego delle canne, più o meno lavorate, era estesissimo e comprensibile per la facilità di reperimento e di lavorazione. L’impiego tipico della canna era come tutore di sostegno delle piante da orto. Vogliamo ricordare che a quest’ultimo uso risale un antico modo di dire che qualcuno rammenterà. La canna, tagliata obliquamente in una punta per facilità di infissione nel terreno, serviva spesso per convincere i serpentelli ed altri animali sgraditi ad allontanarsi da casa. Di una persona sgradevole da non avvicinare si diceva, appunto: “Ni li vulesse tucca’ manche ‘nchi na canna pizzute!”.
Le canne sono state anche lavorate da tempi antichi per realizzare stuoini (cannizzate), principalmente per uso edile. Si usavano direttamente per tamponamenti di fabbricati rustici, ma anche come anima portante di pannellature di malta o fango.
Nelle case del paese, l’impiego delle canne, al di là della limitata presenza occulta in elementi costruttivi, era molto diffuso perché signori e popolani se ne approvvigionavano per gli scopi più svariati. Questo generava un mercato anche per questo materiale, pur intrinsecamente di poco valore, sia allo stato grezzo che in semilavorati o manufatti.
C’erano, innanzi tutto, le lunghe canne che si usavano per asciugare il bucato, nell’uso domestico, e molti prodotti artigianali o della piccola industria (pasta lunga industriale, filze di salsicce, matasse dei tintori ecc.).
In tutte le case e in vari ambienti si potevano osservare ceste di varie forme e dimensioni realizzate con stecche di canna.
Nei cassetti di cucina potevi trovare i cannotti grandi per cuocere al forno i cannoli e quelli piccoli per gonfiare i tacchini (eh, già: una volta si ammazzavano in casa) o per le terminazioni di tubi di gomma.
Ai bambini si consegnavano cannotti per farli divertire con le bolle di sapone o per costruire rustici flauti. Ai piccoli capitava poi di ritrovare le stecche di canna nella struttura delle pupe e dei cavalli di fichi secchi (li caracine).
In epoche precedenti le canne servivano per misurare le lunghezze nei negozi e nelle bancarelle. Erano lunghe 1 m e, prima ancora, mezza «canna» (qualche centimetro in più).
C’era un tempo in cui le canne servivano addirittura per segnare con tacche i debiti verso i panificatori (si ‘ntaccave)!
Ecco, speriamo di aver reso l’idea di quanto la canna fosse una presenza comune nella vita dei nostri progenitori, anche quelli più immediati.
Quando era ancora fresca poteva essere modellata e scaldata per una stagionatura accelerata. Capitava che si bruciacchiasse, ma quel po' di fumo prodotto non era particolarmente apprezzato.
Ultimo aggiornamento ( 17 Maggio 2020)