C’è una storia che da anni gira per Guardiagrele ed è sempre stata narrata in termini di divertente aneddoto. Eppure, quello che viene raccontato è solo un particolare, divertente ma forse insignificante, di quanto dovrebbe essere accaduto nel periodo bellico tra il Campionissimo di ciclismo, Fausto Coppi, e l’arrotino guardiese Alfredo De Lucia.
Ci sono storie che in mano a bravi scrittori potrebbero essere romanzate e raggiungere un certo successo editoriale e cinematografico. Queste storie sono spesso, ingiustamente, tramandate tra le generazioni a livello di divertenti aneddoti, impedendo in questo modo la comprensione di molte sfaccettature che permetterebbero una loro corretta valutazione.
Vogliamo raccontarvi la storia di Alfredo De Lucia, umile e semplice arrotino guardiese soprannominato “l’Uttavine”, e di Fausto Coppi, il «Campionissimo» del ciclismo negli ’40-’50 dello scorso secolo, soprannominato «l’Airone» per l’immagine che forniva nelle sue solitarie scalate. La loro profonda amicizia, che un giorno sfuggì di bocca ad Alfredo negli anni di maggior splendore del campione, risultava incredibile per i guardiesi e divenne solo oggetto di scherno fino a quando se ne ebbe la prova inconfutabile.
Negli anni successivi all’improvvisa scomparsa di Coppi, periodicamente la stampa riportava i racconti di persone comuni che lo avevano conosciuto. Si scrivevano articolesse su amicizie che erano solo conoscenze occasionali di cui il «Campionissimo» aveva solo una vaga memoria. Solo in un caso un periodico si occupò di Alfredo ma con un articolo piuttosto scialbo, certamente non memorabile.
In questi anni del centenario della nascita di Coppi (1919), a Guardiagrele si è tornati a parlare di Alfredo nel documentato volume «Guardiagrele, lo Sport dalle Origini a Oggi» dell’impagabile prof. Mario Palmerio, richiamando anche una precedente pubblicazione di Carlo Iacovella. Noi vorremmo andare un po’ oltre l’aneddoto degli incontri tra due persone notoriamente riservatissime in cui il campione manifestava un entusiasmo che sorprendeva i presenti e imbarazzava il nostro modesto concittadino.
Come mai accadeva tutto questo? Solo perché per alcuni mesi erano stati in uno stesso campo di prigionia in Nord-Africa durante la guerra terminata da pochi anni? Ci deve essere certamente qualcos’altro e potrebbe essere quello di cui a Guardiagrele si è parlato sempre con una certa insistenza ma non è riportato nelle biografie ufficiali dell’immenso Fausto.
Due sono i periodi della vita di Fausto Coppi importanti per la nostra storia, ed entrambi descritti con molte evidenti lacune e reticenze nelle sue biografie: la sua infanzia e il servizio militare. Cominciamo da quest’ultimo che è il cuore di tutta la nostra vicenda.
Fausto aveva appena iniziato la carriera da professionista che nella primavera del 1940 ricevette la chiamata alle armi. Come capita in questi casi, l’assegnazione ai reparti degli sportivi di un certo livello avviene con sostanziali agevolazioni. In pratica, il futuro campione ebbe modo di dimostrare immediatamente il suo valore vincendo a soli vent’anni il suo primo Giro d’Italia il 9 giugno 1940, il giorno prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Continuò a gareggiare da militare fino al 7 novembre del 1942 quando conquistò il record dell’ora. L’impegno bellico di quei mesi comportò la sospensione delle manifestazioni sportive e quindi Fausto Coppi, caporale di fanteria, fu dichiarato disponibile per l’invio sui fronti di guerra. Il campione partì per il fronte tunisino nel marzo 1943.
Il nostro Alfredo, di dodici anni più anziano, ricevette nello stesso periodo la lettera di richiamo alle armi per poi essere spedito sullo stesso fronte.
Le loro attività belliche durarono molto poco perché nel maggio seguente furono entrambi fatti prigionieri dagli inglesi. Dopo brevi permanenze in campi di detenzione tunisini, furono inviati nel campo di prigionia di Blida, vicino Algeri. Questo è il luogo dove verosimilmente ebbero l’occasione di conoscersi e di instaurare quell’amicizia ritenuta da molti incredibile.
A questo punto ci si trova di fronte a un’area grigia e misteriosa della vita di Coppi. Che nessuno abbia indagato e pubblicato qualcosa di chiaro sulla biografia di Alfredo di quel periodo è ben comprensibile, ma che si ritrovino versioni contrastanti e inconciliabili su quegli anni di Fausto ci appare alquanto strano.
Attenzione alle date: inizio prigionia nel maggio 1943, armistizio per l’Italia nel settembre successivo.
Il conflitto sarebbe durato ancora per un paio d’anni e fino alla liberazione dell’Italia certamente gli alleati non potevano permettersi di rilasciare prigionieri italiani nel timore che tornassero a combattere per la RSI. Questo fece sì che i prigionieri venissero trattenuti presso di loro anche fino a molti mesi dopo la fine del conflitto in uno «status» diverso a seconda se accettavano o meno di collaborare con gli ex-nemici.
Varie fonti riportano che la prigionia in Algeria durò circa un anno e che per un periodo Coppi svolse il servizio di autista in Italia meridionale per il tenente Towell della RAF. Si sa, poi, che nella primavera del 1945 Coppi era in Italia e ricominciò a gareggiare a Roma prima di far ritorno a casa in bicicletta dopo l’avvenuta liberazione.
Insomma, dopo essere stato imprigionato in Algeria con il nostro Alfredo per almeno un anno (dal maggio 1943), non esiste nulla di chiaramente descritto su Fausto Coppi fino al suo ritorno a casa dopo la liberazione del Nord Italia (aprile 1945). È strano che si parli di un arrivo in Italia con il tenente Towell all’inizio del 1945 o nell’autunno del 1944. Ancor più strano che a settembre del 1943 la Gazzetta dello Sport riporti la notizia che Coppi, di cui nulla si sapeva dal momento della cattura in maggio, era stato trasferito dalla Tunisia in un campo di prigionia in USA nel luglio precedente e che colà avesse addirittura preso parte a gare su pista. Nessuna permanenza, sembrerebbe, in Algeria. Tutto questo sarà forse materia per future ricerche di storici appassionati.
Torniamo ora al dato più attendibile: il periodo di permanenza nel campo algerino insieme al nostro Alfredo. Ecco, una profonda amicizia nata tra un caporale settentrionale, campione di ciclismo già affermato, e un soldato semplice, meridionale e più anziano, non è così comune, specie se si tratta di due persone molto riservate e di pochissime parole. Non siamo neanche di fronte a una situazione di dura detenzione che crea forti legami per la comune sopravvivenza.
Spieghiamo bene di quale amicizia fosse. Era Fausto Coppi che si attivava periodicamente per avere notizie di Alfredo. Era il «Campionissimo» che dava indicazioni ad Alfredo per salutarlo durante il passaggio di una corsa dalle nostre parti. Come raccontato nell’opera citata di Mario Palmerio, si arrivò al plateale richiamo «La busta! La busta, cretino!» perché Alfredo non si era accorto di una busta con del denaro lanciatagli in corsa da Coppi. In paese si parlava anche delle proposte che il campione aveva ripetutamente fatto ad Alfredo per trasferirsi al Nord dove poteva garantirgli lavoro onorevolmente remunerato e ogni tipo di aiuto collegato. Niente, Alfredo rimaneva sempre legato alla sua terra e ai suoi compaesani che pur lo prendevano in giro.
Per cercare di spiegare l’origine di questa amicizia è il caso di accennare al secondo periodo grigio della biografia di Fausto Coppi: la sua infanzia.
Tutti i biografi raccontano della precoce passione per le due ruote che il ragazzino sviluppò andando a lavorare come garzone da un salumiere di Novi Ligure. Ogni giorno andava e tornava in bici percorrendo i 20 km dalla sua casa di Castellania e in più faceva le consegne per la salumeria. Pochi accennano al fatto che questa fu una sua scelta per evitare il lavoro dei campi che iniziò da piccolissimo perché la scuola diciamo così, non era la sua passione. Qualcuno ha scritto che frequentò la scuola elementare con scarso profitto ovvero, traducendo, Fausto Coppi non possedeva la licenza elementare. Possibile? Nulla da meravigliarsi: all’epoca la licenza elementare era un titolo di studio che sul lavoro era discriminante come oggi lo è il diploma. Potremmo dire che molto probabilmente Coppi, come molti della sua generazione, era sì in grado di leggere ma nella scrittura aveva difficoltà a destreggiarsi con la penna e non riusciva ad andare al di là di una o due frasi molto elementari con ortografia precaria. Questo spiega la voce che circolava a Guardiagrele all’epoca delle imprese di Coppi: Alfredo era stato l’estensore delle lettere e cartoline che Fausto Coppi scriveva ai familiari e ai tifosi dalla prigionia. Chi ha conosciuto Alfredo può garantire che, nonostante le sue modeste condizioni, era in grado di scrivere ed esprimersi con buona proprietà di linguaggio e, se tutto questo fosse vero, Coppi non avrebbe potuto sfigurare.
Se fosse vera questa voce ricorrente, ecco che avremmo svelato un piccolo segreto del «Campionissimo» e il motivo del debito e del rispetto che manifestava per il nostro concittadino Alfredo “l’Uttavine”.
Ultimo aggiornamento ( 02 Aprile 2022)