Ma quante sono effettivamente le stagioni? Sì, ci riferiamo a quelle che ci hanno insegnato sin dalla primissima infanzia. Erano quattro. Ma forse non più, perché ormai si dà per scontato che siano sparite le stagioni di mezzo. Allora sono due. Però su questo i nostri antichi avrebbero qualcosa da ridire.
Sin dalla primissima infanzia abbiamo imparato i nomi dei mesi, dei giorni della settimana e delle stagioni.
Poi, crescendo, abbiamo imparato che i giorni e i mesi derivano da convenzioni: non esiste una caratteristica che permetta di identificare un lunedì rispetto a un martedì. Stessa cosa per i mesi che, nel tempo, sono variati di numero e durata. Ma sulle stagioni non dovrebbero esserci discussioni perché esse sono definite attraverso precisi riferimenti astronomici, due equinozi e due solstizi.
Infatti, quando si parla di stagioni astronomiche tutto chiaro per tutti ma se alle stagioni attribuiamo anche caratteristiche meteorologiche allora sorgono problemi, tanto che gli stessi meteorologi fanno retrocedere l’inizio delle stagioni all’inizio del mese.
Per i nostri lontani antenati equinozi e solstizi erano solo utili riferimenti, come quelli delle ore del giorno che non sono utili di per sé ma servono a tenere sotto controllo la disponibilità di luce per le attività umane. Così loro identificavano la bella e la brutta stagione in relazione ai raccolti che ovviamente si legavano alle condizioni meteorologiche. Per loro era scontato che i passaggi non fossero repentini e che quindi ci fossero dei mesi di passaggio e adattamento.
Questo atteggiamento è confermato dal nostro dialetto classico che dal punto di vista lessicale ruotava intorno a “la staggione” intendendo il periodo di tempo buono, «la stagione per eccellenza». Ad essa si contrapponeva il periodo che per loro era una «non-stagione» che chiamavano “verne” o “’mmerne”. Aggiungiamo che si usava in alcuni casi il termine “’rintrate” per definire un breve periodo autunnale in cui si immagazzinano gli ultimi raccolti per svolgere solo lavori nelle case. Della «primavera» non vi sono tracce classiche.
In definitiva, quando le ore di luce cominciavano a prevalere su quelle di buio (dopo l’equinozio che noi chiamiamo di primavera) iniziava “la staggione” che durava fino all’equinozio successivo corrispondente a “la ‘rintrate”. Al centro c’era il solstizio estivo, culmine del sole e della benevolenza divina, solitamente al 21 di giugno, ma la data si è spostata nel corso dei tempi in relazione agli aggiornamenti dei calendari.
Da tradizione plurisecolare la festa del solstizio estivo avveniva nella notte di san Giovanni, tra il 23 e il 24 di giugno. Notte anche delle streghe che tenevano l’annuale raduno mondiale a Benevento per sparire alle prime luci dell’alba.
Una curiosità per confermare quanto detto sulla stagione: il giorno di san Giovanni, nell’Europa del Nord, è chiamato «Giorno di Mezz’Estate» e infatti, l’opera di Shakespeare, è «A Midsummer Night’s Dream», un sogno di una notte di mezz’estate, con fate e folletti di quella magica notte.