Girando per l’Abruzzo, terra che tutte le estati raggiunge l’apoteosi agricola con la preparazione delle passate di pomodoro, nella ristorazione compaiono sempre più spesso piatti preparati con pomodorini, ormai facilmente disponibili tutto l’anno.
Si tratta di un pericoloso ortaggio infestante o di una manifestazione di sudditanza psicologica?
A volte ci tocca scrivere di argomenti di cui non siamo espertissimi ma che siamo costretti a trattare perché non riusciamo a capire il motivo per cui altri, più esperti e competenti, non lo facciano. Abbiamo cercato di documentarci in abbondanza ma il materiale trovato è stato scarso e questo ci ha preoccupato ancora di più riguardo alle reticenze degli addetti ai lavori. Da parte nostra, possiamo solo scusarci preventivamente per le inevitabili imprecisioni che, comunque, non inficiano le finalità del discorso.
Parliamo della coltivazione e dell’utilizzo del pomodoro in Abruzzo.
La preparazione delle passate in bottiglia (tanto tradizionalmente radicata che si usa sbrigativamente dire “fa’ li buttije”) impegna ogni estate una fetta importante della popolazione abruzzese e le tecnologie via via introdotte non hanno modificato significativamente la qualità del prodotto ma hanno solo dato vita a confronti tra le modifiche da apportare ai procedimenti già consolidati.
Le passate artigianali continuano a giocare un ruolo primario nella nostra cucina e questo fa sì che la loro preparazione è ancora una tradizione viva. Diverso il caso del concentrato, decaduto in cucina dove il suo uso è divenuto talmente marginale che in caso di necessità si fa ricorso a prodotti industriali.
Per tornare a quello che ha destato le nostre preoccupazioni, è necessario provare a definire il quadro di riferimento per la tradizione abruzzese nell’uso del pomodoro.
Nel corso del ‘900 le varietà di pomodoro coltivate in Abruzzo erano piuttosto numerose soprattutto a causa della diversità climatiche riscontrabili nel nostro territorio. Si parlava, ad esempio, di pummadore a buttije, a core, a lècene, a pere e a scamurze. C’erano anche quelli lunghi, gli africani (grandi) e i sammarzano. Certamente ne dimentichiamo altri.
Nel secondo dopoguerra, come accaduto anche per altre colture, la produzione si è indirizzata verso varietà a maggior resa e resistenza contando sul fatto che il territorio potesse continuare ad assicurare un buon livello qualitativo. Non sempre questo è avvenuto, tuttavia l’abilità dei nostri conterranei nella produzione delle passate artigianali ha permesso di preservare la qualità delle nostre specialità culinarie tradizionali.
Negli ultimissimi decenni si sono verificati numerosi cambiamenti che, pur in un quadro generale che mostra un andamento positivo, espongono a rischi di scadimento della nostra cucina che faticosamente sta diventando uno dei più decisivi motivi di attrattiva turistica dell’Abruzzo.
Ci stiamo dimenticando di alcuni aspetti caratterizzanti dell’uso del pomodoro nella nostra cucina tradizionale e ci stiamo pericolosamente allineando a metodiche importate che riteniamo più qualificanti solo per la nostra atavica sudditanza psicologica. Si tratta invece di soluzioni adottate altrove perché non disponevano delle nostre opzioni più classiche ed eccellenti.
Prendiamo il caso più semplice: la caprese.
Data per scontata la bontà delle nostre mozzarelle (o fiordilatte che dir si voglia) perché appiattirci su una preparazione che sembra fatta in una trattoria del Nord Italia? Qualche chef nostrano, magari improvvisato, ritiene doveroso presentarci un pomodoro affettato con ampie zone ancora verdi. Lasciamo stare i richiami al Tricolore nazionale: quel verde da molte parti è una necessità, in Abruzzo è uno scandalo! Guardiamo, invece, cosa suggerisce la nostra tradizione.
Dalle nostre parti la caprese è arrivata in tempi relativamente recenti. Prima la mozzarella si mangiava solitamente da sola con del buon pane casereccio. I nostri buongustai, specie quando il latticino non era proprio eccellente, aggiungevano un filo d’olio, ovviamente EVO. Qualcuno ancora più esigente predisponeva un fondo della nostra passata di pomodoro. Questa era la nostra «caprese»!
I nostri ristoratori potrebbero avere nel menù questo piatto tutto l’anno (chiamandolo, magari, la «guardiese») senza scadimenti stagionali. Potrebbero presentare, invece, nel periodo estivo, anche la «caprese», utilizzando una delle nostre qualità di pomodoro (a pera o cuore di bue), senza semi e con buccia sottilissima, che anche al culmine della maturazione mantengono un’ottima consistenza.
Identico discorso si può fare per il pomodoro da impiegare nelle bruschette.
Vogliamo ora passare ad un primo piatto semplice? La pasta al pomodoro.
Fuori regione ci è capitato di vedere nel piatto spaghetti appena lessati con sopra un mucchietto di cubetti di pomodoro appena scaldati. Si tratta di un caso limite. Più spesso abbiamo trovato una salsina con semi ed evidenti pezzi di pelati, altre volte, grazie a chef che si ritenevano più validi, i pezzetti erano di pomodorini (pachino, datterini, ciliegini, piennoli ecc. a seconda della zona) con semi e straccetti di buccia variamente distribuiti. Meglio i pelati. Da noi, nei tempi andati, queste cose non si sono mai viste, eppure cominciano a comparire! Si sono dimenticati del «sugo finto»?
Si capisce che in un menù apparirebbero poco appetibili gli «spaghetti al sugo finto», ma scrivendo «spaghetti al sugo abruzzese», preparati, d’estate, con pomodori locali freschi e con la nostra passata negli altri mesi, il successo sarebbe garantito. Ci vorrebbe un po’ più di coraggio nei ristoratori perché i clienti, una volta edotti, non si tirerebbero indietro.
Del nostro ragù, del brodetto o delle pallotte caşe e ove, non è neanche il caso di parlare.
Per quanto ci siamo sforzati, non siamo riusciti a trovare piatti che in Abruzzo sarebbero preferibili con i pomodorini, ortaggi trovati frequentemente nei ristoranti di pesce in ricette importate (spaghetti allo scoglio) o nelle insalate. Negli altri casi possiamo quasi sempre parlare di abusi.
Insomma, i pomodorini stanno diventando ortaggi infestanti nella nostra cucina! Possiamo dire che la proposta di una cipollata fatta con i pomodorini ci ha lasciati abbastanza perplessi?
Per fortuna che qualche segnale positivo comincia a vedersi. Il recupero del Pomodoro a Pera d’Abruzzo e il suo percorso per ottenerne la tutela rappresenta una buona notizia. Quella strabiliante sarebbe che tutti i ristoratori abruzzesi sentissero l’obbligo di curare le scorte di buttije (di pomodoro) come fanno con quelle di vino o di olio.
Attendiamo fiduciosi.
Ultimo aggiornamento ( 01 Settembre 2021)