Il cappello sulle ventitré
Ai giovani questa espressione dice poco o nulla. Ai meno giovani ricorda un programma televisivo che andò in onda negli anni '80 e rimasto nella memoria soprattutto perché, sotto la conduzione di Paolo Mosca, per la prima volta in Rai, venivano regolarmente presentati numeri di spogliarello piuttosto audaci per l'epoca.
Il titolo del programma giocava con il richiamo all'orario della trasmissione ma, come vedremo, esso risultava sì corretto come riferimento ad un orario... ma a un orario grossolanamente sbagliato.
Tutti voi, immagino, ricordate le citazioni di orari contenute nelle opere del nostro Modesto Della Porta e in molti sarete rimasti perplessi nel cercare di interpretarle. Ad esempio, all'inizio di "La Novena di Natale" si legge:
"Iere a lu jurne, dope ventun'ure,
stav'accante a lu foche e tenè' 'mmente
verse lu balecòne, a la nenguente
che 'ncavezàve."
È legittimo chiedersi come sia possibile che la vicenda narrata si collochi in un pomeriggio (iere a lu jurne) "dope ventun'ure", orario che, nell'accezione comune e specialmente per un giorno di dicembre, corrisponderebbe alle prime ore della notte!
L'indicazione diventa però chiarissima se si considera che, fino all'epoca di Modesto e anche oltre, i ritmi della vita civile seguivano quella della vita religiosa, scandita dal suono delle campane alle cosiddette "ore canoniche" stabilite per le preghiere della "Liturgia delle Ore".
Anche se la dominazione francese aveva introdotto già all'inizio del XIX secolo la suddivisione della giornata come la conosciamo ora, la scarsa diffusione degli orologi meccanici comportava l'esigenza di regolarsi ancora con le "ore canoniche". Nel caso specifico di "La Novena di Natale" dobbiamo considerare l'ora Nona liturgica che cade a metà pomeriggio (tra la Sesta, a mezzogiorno, e la Dodicesima, al tramonto). Le campane che suonavano a quell'ora indicavano, in pratica, le "ventun'ore" nel sistema di misurazione in "ore italiche", sistema precedente a quello francese. Le ore italiche prevedevano, infatti, una suddivisione in ventiquattr'ore a partire dal tramonto, con la ovvia complicazione della variabilità, da giorno a giorno e da luogo a luogo, del momento di inizio della giornata e della effettiva sua durata. Con le ore francesi il problema scompariva ma il ricorso alle ore italiche continuava ad essere giustificato dalla buona approssimazione agli orari in cui le campane segnalavano le ore canoniche.
Pertanto, per identificare l'orario della vicenda nel brano dellaportiano, occorre tenere presente che a Guardiagrele e nel periodo prenatalizio le campane suonavano l'ora Nona, ossia le ventun'ore, all'incirca alle 14.00. "La Novena di Natale" termina poi con
"Lu campanone di vintiquattrore
sonà tre stucche come tre sijuzze!"
e quindi la vicenda si chiude al tramonto, un paio d'ore dopo.
Chiusa questa necessaria digressione, ritorniamo alla curiosa locuzione del "cappello sulle ventitré" (in dialetto "cappelle a la vintitrè"). Essa indica, come noto, quel particolare modo di indossare il copricapo, con esagerata inclinazione laterale, molto in voga tra i gagà (i dandy di inizio secolo scorso) che ostentavano le caratteristiche pagliette.
Ebbene, il modo di dire deriva dalla consuetudine dei lavoratori agricoli di inclinare il copricapo nella direzione del sole per poter meglio ripararsi. La massima inclinazione del sole - e dei copricapi - si aveva poco prima del tramonto ossia, secondo le ore italiche, alle ventitré!
Da decenni la moda maschile non prevede più l'utilizzo del copricapo e quei pochi che ne fanno ancora uso ricorrono a cappelli pretenziosi o a informi berrettoni. Eppure, fino agli anni '60, era ancora possibile veder girare per Guardiagrele alcuni personaggi caratteristici che indossavano un comune copricapo, spesso una "coppola", ma provocatoriamente collocato "a la vintitrè". Non si trattava più dei notabili di inizio secolo, bensì di personalità popolari ed eccentriche, come mastre Amidee di lu Rusce e Arie di Napilïone, oppure di gente comune ma non banale come Jucce di la Pirole, fedele operaio presso il grossista di bevande alla Neviera con l'incarico, tra l'altro, di inserviente della neviera stessa. Ma questa è un'altra storia e, se avrete voglia di seguirci, di Jucce e di la Nivire, parleremo in una prossima occasione.
Ultimo aggiornamento ( 31 Ottobre 2014)