La Kamut? None, sule saravulle!
Queste s'à da propie ariccuntà'!
Tempo fa eravamo riuniti alla Cantine per fare il punto dei lavori sul Dizionario di Guardiese, quand'ecco che donn'Arnalde buttò lì una domanda rivolgendosi a me e a dun Ciccille in particolare:
«Voi che avete avuto a che fare con i contadini più di me, avete sentito mai parlare di "Saravulle"?»
Davanti alla nostra perplessità proseguì:
«Bè', Emidio Vitacolonna lo definisce "Qualità di grano con chicchi grandi" e niente più. Mi sembra strano che l'abbia inserito nel suo Glossario di Guardiese. Deve esserci qualcosa che mi sfugge perché anche in altri vocabolari abruzzesi se ne parla con definizioni del tipo "Varietà di grano duro". Perché non ci sono spiegazioni più dettagliate se poi sembra essere così importante? Provate a informarvi!»
Effettivamente il termine non mi giungeva del tutto nuovo perché mi ricordavo che da ragazzo capitava che qualche contadino parlasse di "saravulle" o "zaravulle" ma non erano discorsi in cui, per l'età, mi era consentito di intromettermi.
Il mio contributo all'indagine si è potuto limitare ad una chiacchierata con una delle nostre più autorevoli "consulenti", 'Ssuntine di lu Ciardine. Solitamente la coinvolgiamo su altre materie ma le sue origini contadine potevano tornarci utili in questa occasione. La nostra Assuntina, però, ha solo potuto confermare che i suoi genitori e certamente i suoi nonni coltivavano lu saravulle dal quale ricavavano farine di Cappelle.
Il riferimento alla farina di Cappelli mi ha permesso di girare completamente la questione all'amico dun Cicccille, autore di una articolo sull'argomento (reperibile nell'archivio del nostro sito). Dun Ciccille, fino a quando non ho riferito quanto detto da Assuntina, non aveva trovato nulla ma, rincuorato dalla conferma dell'esistenza di questa varietà di cereale, si è scatenato su internet e il giorno dopo è tornato da noi trionfante.
«Signori miei, è una cosa inimmaginabile. Non ho trovato nulla neanche nella Treccani ma seguendo la traccia del grano di Cappelli ho scoperto di cosa si tratta. Da non credere. Non è grano di Cappelli ma, essendo grano duro, nei due secoli appena trascorsi, la sua farina veniva anch'essa chiamata, impropriamente, "farine di Cappelle". Si tratta di grano duro della varietà Saragolla e forse questo nome non vi dice niente. Aggiungo allora che si tratta di grano più noto con il nome "khorasan". Non vi dice ancora niente?»
Era buio pesto e allora ha continuato.
«Allora vi devo dire tutto. Quella che viene tanto pubblicizzata come la farina di kamut non è altro che farina di grano khorasan! Kamut non è il nome del cereale ma il marchio commerciale di un grano khorasan prodotto da un'azienda americana del Montana, la Kamut International ltd. Quelli là hanno stabilito delle regole di produzione e hanno registrato il marchio nel 1991 ma quello che producono è grano khorasan, qualità che anche in Italia viene coltivata dall'antichità. Dal medio evo si parla di questo grano con il nome di "saragolla" ed è il nome che è restato nel nostro dialetto. Da molti anni non si avevano notizie di coltivazioni di saragolla in Italia ma negli ultimi tempi la sua diffusione sta tornando a svilupparsi. Se ne sa poco perché, forse, all'azienda monopolista Kamut la faccenda può non far piacere, ma qualcosa si sta muovendo!».
Siamo rimasti senza parole e, passato lo sbigottimento, abbiamo detto cose irriferibili contro la Kamut e gli stolti che hanno lasciato quasi scomparire il Saragolla dalle nostre parti.
Dopo qualche settimana mi capitò di avvicinarmi ad un distributore automatico di bibite presso un ufficio pubblico e, mentre azionavo la macchina, ho buttato un occhio al distributore di merendine posizionato accanto. Mannagge a la Majelle! Che cosa vedo? Un trancio di crostata di albicocca e pesca prodotto col marchio "Falcone" dalla Pescaradolc di Moscufo (PE) che sulla confezione riportava in tutta evidenza "con farina di SARAGOLLA"! Ebbene, alla faccia della dieta ne ho subito divorato uno con grande soddisfazione e ne ho comprato qualche altro per i miei amici della Cantine.
Prima di rivedermi con loro, ne ho parlato con compiacimento in famiglia e ho raccontato la storia mostrando le confezioni alla presenza di mio nipote. 'Stù masanelle, presa in mano una confezione, l'ha guardata e mi ha detto: «Ma quiste si vinnè pure a la machinette di la scole! Sule ca ci stave scritte "con farina di Kamut"!»
Oh, chiscimbè! Forse l'azienda dolciaria non ha rispettato a suo tempo le regole imposte dell'azienda Kamut e quindi ha dovuto cambiare la scritta anche se la farina, magari, era la stessa.
Insomma, la sera dopo ci siamo ancora ritrovati alla Cantine e, trionfante, ho comunicato ai miei amici che la farina di Saragolla era regolarmente in commercio. Ho anche menzionato la faccenda della crostata e questo ha fatto arrabbiare ancor di più donn'Arnalde che, detto tra noi, è piuttosto fumantino. Si è alzato di scatto dalla sedia e ha proclamato:
«Sapete che vi dico? Mi è capitato di trovare per casa prodotti contenenti Kamut e a volte di mangiare preparazioni con questa farina presso ristoranti o pizzerie delle nostre parti. Da questo momento mai più Kamut. Quando troverò l'indicazione di farina Saragolla o, sperabilmente, Saravulle mi ci tufferò senza esitazioni! Ma, per quanto mi riguarda, mai più Kamut!»
Ci siamo tutti guardati in faccia e d'impeto abbiamo promesso che ci saremmo comportati alla stessa maniera. Quindi
la Cantine di la Croche sostiene la farine di saravulle!
Come mai ristoranti e pizzerie non sembrano considerare questa faccenda? Come mai rinunciano a valorizzare questo prodotto del nostro territorio e della nostra tradizione contadina?
Ultimo aggiornamento ( 25 Novembre 2019)